Giulio Einaudi editore

Operazione austerità

Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo
Operazione austerità
Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo
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L'austerità, parola d'ordine degli economisti ortodossi, sembra aggravare i problemi piú che risolverli, tanto da far dire ai suoi critici che non funziona. Se tuttavia ne scopriamo le origini e ne osserviamo la storia, diventa evidente come sia il baluardo del capitalismo difeso dagli economisti liberali a ogni costo: anche alleandosi al fascismo e sostenendo politiche autoritarie.

2022
eBook
pp. 432
€ 12,99
ISBN 9788858441305
Traduzione di

Il libro

L’austerità non è qualcosa di nuovo né un prodotto della cosiddetta era neoliberista iniziata alla fine degli anni Settanta. Per piú di un secolo, governi in crisi finanziaria hanno implementato politiche di austerity, ovvero tagli al welfare (scuola, sanità, ecc.), privatizzazioni, tassazione regressiva, deflazione, repressione salariale e deregolamentazione del mercato del lavoro. Queste politiche rassicurano i creditori, mentre producono effetti sociali devastanti. Oggi, che l’austerità continua a imperare, è urgente domandarsi: e se il pareggio di bilancio non fosse mai stato davvero l’obiettivo? L’economista Clara E. Mattei indaga sulle origini dell’austerità per svelarne i motivi fondanti: proteggere il capitalismo dalla sua crisi esistenziale, per far fronte alle contestazioni dal basso che ne stavano intaccando le fondamenta.

L’austerità, come la conosciamo oggi, è emersa dopo la Prima guerra mondiale. In un momento di inflazione fuori controllo e sollevazione democratica senza pari che interessò l’Europa intera, gli esperti economici dovettero imbracciare le loro armi piú potenti per conservare quello che pensavano dovesse essere lo status quo. L’austerità fu lo strumento che parve loro piú efficace: funzionò – e funziona tuttora – per mantenere il capitalismo indiscusso e reprimere ogni espressione di cambiamento sociale. Attraverso uno studio di fonti storiche inedite l’autrice svolge un’analisi comparata fra Italia e Gran Bretagna negli anni Venti, per raccontare come gli economisti al governo sfruttarono le leve della politica pubblica per cooptare l’adesione di tutti i cittadini ai desiderata della produzione privata, anche a fronte di profondi sacrifici personali della maggioranza. Nonostante le divergenze ideologiche, economisti fascisti e liberali lavorarono di concerto come custodi di una scienza economica che, a dispetto della pretesa purezza, aveva come scopo pratico intrinseco quello di “ammaestrare” i cittadini a consumare di meno e produrre di piú. L’emergente regime fascista offrí a quei professori l’opportunità della vita: plasmare la società sull’ideale dei loro modelli.

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