Giulio Einaudi editore

Esercizi di stile

Copertina del libro Esercizi di stile di Raymond Queneau
Esercizi di stile
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Esercizi di stile è un esilarante testo di retorica applicata, un'architettura combinatoria, un avvincente gioco enigmistico. Tutto vero, però è anche un manifesto letterario (antisurrealista), è un tracciato di frammenti autobiografici, è la trascrizione di una serie di sogni realmente effettuati da Queneau. È perfino un testo politico, nonché un'autoparodia.

2005
Supercoralli
pp. XX - 320
€ 19,50
ISBN 9788806178642
Traduzione di

Il libro

Questo è quanto emerge dalle riflessioni che Stefano Bartezzaghi ha dedicato, in un lavoro di anni, a questo libro-capolavoro. E la sua postfazione al volume diventa complementare alla classica e sempre illuminante introduzione di Umberto Eco, del quale si conserva, ovviamente, anche la mitica traduzione. In appendice, presentati per la prima volta in italiano, alcuni esercizi lasciati cadere nell’edizione definitiva, un indice preparatorio e l’introduzione, anch’essa inedita in Italia, scritta da Queneau per un’edizione del 1963.

Durante una conversazione con Jacques Bens, Michel Leiris si ricorda che «nel corso degli anni Trenta, noi (io e Michel Leiris) abbiamo ascoltato assieme l’Arte della Fuga, in un concerto in programma alla Sala Pleyel. Ricordo la passione con cui l’abbiamo seguita e che, uscendo, ci siamo detti che sarebbe stato molto interessante fare qualcosa del genere sul piano letterario (considerando l’opera di Bach non tanto dal punto di vista del contrappunto e fuga, quanto come costruzione di un’opera mediante variazioni che proliferano pressoché all’infinito attorno a un tema abbastanza scarno)». Ho scritto Esercizi di stile ricordandomi davvero, e del tutto consapevolmente, di Bach e particolarmente di quell’esecuzione alla Sala Pleyel: ma era davvero tanto prima della guerra? Comunque fu nel maggio del 1942 che composi i primi dodici (che peraltro sono rimasti i primi dodici del libro); pensavo che non sarei andato oltre e avevo intitolato quel modesto tentativo «il Dodecaedro» dal momento che, come chiunque sa, quel bel poliedro ha dodici facce. Il direttore di una rivista molto rispettabile che usciva allora nella zona detta «libera» della Francia e che mi aveva richiesto un «testo» mi rese il Dodecaedro con un’aria costernata, direi addirittura con tristezza, come se gli avessi voluto fare uno scherzo di cattivo gusto.

Raymond Queneau

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