Tag: poesia
La poesia e il teatro sono le due case di Mariangela Gualtieri. O forse sono la stessa casa. Nel 1983, insieme al regista e compagno Cesare Ronconi, fonda il Teatro Valdoca, col quale mette in scena una serie di spettacoli memorabili come la trilogia Paesaggio con fratello rotto, Caino e il recente Enigma. Requiem per Pinocchio. Nel 1985, insieme a Milo De Angelis, dà vita a una scuola di poesia che coinvolge autori come Fortini, Luzi, Amelia Rosselli e tanti altri. Nel 1992 pubblica il suo primo libro di poesia, Antenata, presso l’ediore Crocetti.
Il Valdoca (che così si chiama dalla via di Cesena dove ha la sua sede) è un teatro di corpi e di voci che si attraversano facendo riaffiorare le pulsioni e le paure ancestrali ma anche la tensione insopprimibile verso il sovrumano, verso una bellezza infantile o animalesca.
La poesia di Mariangela Gualtieri nasce da quell’esperienza e mantiene la corporeità della parola teatrale. È una poesia da pronunciare, da far risuonare in quei «riti sonori» a cui la poetessa si dedica da tanti anni e a cui hanno assistito decine di migliaia di spettatori.
Da Einaudi ha esordito nel 2003 con Fuoco centrale e altre poesie, che riprende una scelta di versi scritti fin lì per il teatro: un coacervo di voci ventriloque che affondano nel mito, nella terra, nell’estasi mistica. Con il libro seguente, Senza polvere senza peso (2006), ha inizio un percorso poetico che, senza rinnegare il precedente, dipana un avvolgente filo rosso di gioia su tutte le cose esistenti ed esistite, conoscibili e non. Ulteriore punto di approdo di questa direzione è il successivo Bestia di gioia (2010), dove appunto una sorta di ispirazione francescana e un’adesione pre-concettuale al mondo sono sintetizzate fin dal titolo. Questo, con le sue circa 20.000 copie vendute, è a tutt’oggi il libro di maggior successo della poetessa e un caso alquanto raro nell’editoria di poesia.
Nel libro successivo, Le giovani parole (2015), il respiro si fa sempre più largo fino a raccogliere il ritmo delle stagioni, la musica della natura. L’attenzione per tutte le cose, il raccoglimento, l’ascolto del silenzio fanno di queste poesie un’esperienza spirituale profonda. Tra l’altro è in questo libro Bello mondo, la poesia recitata a Sanremo da Jovanotti.
Quando non morivo (2019) è il suo più recente libro di poesia. Molte le poesie di questa raccolta dedicate agli animali e ai cuccioli umani, al sentimento panico della natura. Poesie come preghiere che evocano il legame inscindibile «fra stella e ramo e piuma e pelo e mano».
Il suo prossimo libro di poesia è in preparazione e sarà pubblicato nel 2023. Nel frattempo, però, è in uscita nel mese di maggio uno Struzzo intitolato L’incanto fonico, una serie di riflessioni in forma aforistica sull’oralità della poesia, sulla natura mitica e rituale dell’intreccio di suoni e parole.
-
Io parlo all'amore. Lo scortico dall'incrosto / nel sogno e ne faccio musica storta / ne faccio delicato vento che solleva o / dondola / e impollina al cuore. Alla scomposta / mente, impollina l'occhio con l'occhio / l'occhio con l'animale e viene il bello...pp. 131€ 14,00
-
Senza polvere senza peso
Adesso fa notte - fa preghiera.
Apre le serrature del silenzio
fa apparire la mappa siderale
e ci inginocchia per quello spazio
immenso
fra qui e l'orlo
del cominciamento
quando le spine dorsali
stanno tutte stese.pp. 124€ 12,00 -
Bestia di gioia
Ciò che non muta
io canto
la nuvola la cima il gambo
l'offerta il dono la rovina
apparente d'acqua che tracima
di tempesta e di onde.
Io canto il semplice del grano
e del pane la stessa festa che si tiene
fra le rose a maggio, la corsa
della rondine e il coraggio
dell'animale nella...pp. 144€ 13,00 -
Le giovani parole
Ormai è sazio
di ferite e di cielo. Si chiama
uomo. Si chiama donna. È qui
nel celeste del pianeta -
dice mamma. Dice cane
o aurora.
La parola amore l'ha inventata
intrappolato nel gelo.
Perso. Lontano. Solo. L'ha scritta
con ditate di rosso
in un silenzio caduto giú
dalla neve.pp. 160€ 13,50 -
Quando non morivo
Subito si cuce questo niente da dire
ad una voce che batte. Vuole
palpitare ancora, forte, forte forte
dire sono - sono qui - e sentire che c'è
fra stella e ramo e piuma e pelo e mano
un unico danzare approfondito,
e...pp. 128€ 12,00 -
Caino
La parte di Genesi che riguarda Caino è cangiante, misteriosa, pienadi silenzi, sottile nel suggerire i possibili doppi: agricoltura e pastorizia,erranza e stanzialità, azione contemplazione, razionalitàanimalità, e insomma piena di attrazioni tematiche.pp. 112€ 11,00 -
Paesaggio con fratello rotto
Paesaggio con fratello rotto è una trilogia di spettacoli messi in scenadal Teatro Valdoca nel 2005 con la regia di Cesare Ronconi: Fango chediventa luce, Canto di ferro, A chi esita.pp. X - 88€ 10,00
Il 21 maggio 2021 Giuliano Scabia ci ha lasciato. La sua figura di scrittore, poeta, uomo di teatro, inventore di performance memorabili in luoghi considerati incongrui, dai manicomi ai boschi, è giustamente considerata fra le più originali e importanti nel mondo culturale italiano degli ultimi cinquant'anni.
Autore Einaudi dal 1964, a gennaio del 2022 uscirà postumo il suo ultimo romanzo.
«Se ne è andato un maestro, Giuliano Scabia, uno dei personaggi più importanti della scena teatrale e culturale italiana; un uomo discreto e insieme fantasioso: attore, autore di teatro, scrittore, poeta, filosofo di vita, docente universitario. Era nato nel 1935 a Padova, ma da anni viveva Firenze. […] Giocando con le parole, Giuliano Scabia è stato anche un romanziere originale con la saga di Nane Oca di cui sono usciti diversi volumi pubblicati da Einaudi nel corso di oltre un decennio e altri libri narrativi».
Marco Belpoliti, «la Repubblica», link
«Il teatro italiano perde oggi uno dei suoi padri nobili, e nello stesso tempo più semplici e "naturali". E non solo il teatro, perché la sua impronta artistica segna ancora oggi un episodio tra i più significativi, e forse "rivoluzionari", della nostra storia recente. […] È stato un grande innovatore Giuliano Scabia, che sempre soave e sorridente, ha forgiato nel profondo diverse generazioni di teatranti, di cui la sua cattedra di drammaturgia, per tanti anni al Dams bolognese, è stato luogo di formazione e approfondimento».
Gianfranco Capitta, «il manifesto»
«Giuliano Scabia era il padrone assoluto di mondi paralleli che creava con una fantasia scatenata, mai paga di sé, e con uno stile delicato, uno stile che spaziava tra il lirico, l’eroicomico e il comico. Era un uomo piccolo e allegro, gentilissimo, con una nuvola bianca di capelli in testa, sorridente ma anche capace di severità e di dispetti, una specie di angelo divertito o di cavaliere errante, sembrava uscito dalle pagine di Ariosto o di Cervantes, come tanti suoi personaggi. Come un angelo se n’è volato via venerdì 21 maggio al mattino, a Firenze, che era da molti anni la sua seconda città: per comunicarsi la notizia a vicenda, gli amici hanno scritto giustamente che Giuliano se n’è volato via. In effetti già in vita volteggiava libero, lo trovavi di qua e di là nei luoghi più impensati. […] La scrittura, la poesia, il teatro, il canto erano per Giuliano un andare simultaneo in più direzioni: verso l’interno di sé, verso il mondo, oltre ogni soglia dell’ascolto e ogni orizzonte dello sguardo».
Paolo Di Stefano, «Corriere della Sera», link
«[…] Aveva gli occhi che ridevano e insieme si posavano gentili e curiosi sull’interlocutore in cerca di una parola saggia. Lui era lì, sempre pronto ad ascoltare, parlare, spiegare, entusiasmarsi come quel fanciullo che portava sempre dentro di sé. Mancherà, e molto, al nostro piccolo mondo allo sbando Giuliano Scabia, che ci ha lasciato oggi a pochi passi dai suoi 86 anni (era nato a Padova il 18 luglio 1935). Sperimentare, aprire nuove strade insieme etiche ed estetiche, mettere in moto cervelli e cuore di chi lo circondava è stata la sua missione, al di là delle definizioni che si possono dare di lui e che dicono che Giuliano Scabia è stato tutti i nomi in locandina del teatro - autore, attore, regista, animatore, docente e formatore - ma anche poeta e romanziere».
Pierfrancesco Giannangeli, «Il Foglio», link
-
-
Nane Oca rivelato
Un rompicampo a tinte gialle porta scompiglio nella pacifica comunità dei Ronchi Palù: il cavallo Saetta è trovato morto dissanguato nel campo dei Gu. Come se non bastasse, poi, il colpevole si è macchiato anche di un altro delitto: il furto del prezioso manoscritto delle...pp. 218€ 18,00 -
Canti del guardare lontano
«(...) Tu, ombra, oltre la soglia stai
cosí calma, cosí pensosa.
Oltre ogni attimo stai. Cosí
nutri la luce. Cosí
il tempo si fa
sentiero illuminato (...)».
Giuliano Scabia, Canti del guardare lontanopp. 192€ 18,00 -
-
Il lato oscuro di Nane Oca
La magistrale scrittura di Scabia ancora una volta scioglie le profonde competenze antropologiche, mitologiche, filosofiche e teologiche dell'autore in invenzione linguistica, in visione poetica, in leggerezza fiabesca.pp. 232€ 22,00
Dopo i primi riconoscimenti di Isella e Fortini, fu Mengaldo a consacrare Franco Loi, dandogli la strategica ultima posizione nella sua famosa antologia Poeti italiani del Novecento (1978) e presentandolo senza mezzi termini come «la personalità poetica più potente degli ultimi anni».
A Stròlegh (1974), che era il libro più importante sul quale Mengaldo basava il suo giudizio, seguirono rapidamente Teater (1978) e L’aria (1981), un trittico di libri Einaudi che avrebbero confermato il valore del poeta milanese e restano tuttora la testimonianza di una fase particolarmente felice della poesia di Loi.
Nella tradizione di Carlo Porta e Delio Tessa, Loi aveva ripreso a scrivere poesie in milanese, ma il suo dialetto si differenziava da quello dei suoi predecessori, era pieno di termini spuri o spesso inventati. Se non per la lingua, Loi si ricollegava al Porta per la teatralità dei suoi versi, per le voci differenti che attraversavano i suoi poemetti e le sue poesie. Salvo restituire spazio a un io lirico, spesso trasognato, nel corso degli anni.
La vena narrativa dei suoi versi era l’elaborazione poetica di un’arte affabulatoria naturale, orale, capace di intrattenere e coinvolgere sia un pubblico di amici sia un uditorio più vasto nonostante una voce flebile e di registro acuto. La sua disposizione alla conversazione e all’amicizia ha saputo diventare negli anni anche un prezioso apporto a tante figure di più giovani poeti che a lui guardavano come maestro e punto di riferimento insostituibile.
La sua poesia resterà, ma mancherà a molti la sua simpatia e la sua umanità.
Nel corso di circa mezzo secolo Franco Loi ha pubblicato una trentina di libri. Tra i più recenti: Amur del temp (Crocetti 1999, 2018); L’aria de la memoria (Einaudi 2005), un’auto-antologia che raccoglie il meglio di tutta la sua produzione; I niül (cioè «le nuvole», Interlinea 2012).
Dopo Promemoria, il suo esordio in versi, Andrea Bajani torna nella «Bianca» con Dimora naturale. Un libro attraversato da molti animali. Da quelli selvaggi dei documentari che ci ipnotizzano in tv, a gabbiani e storni osservati nei cieli cittadini, dal polpo di cui si è scoperto un cervello diffuso lungo il corpo fino alle mosche dipinte sugli orinatoi. Tra questi l’uomo, specie tra le specie, vorticante insieme alle altre sul pianeta; come loro cerca il contatto con la terra e come tutti non la riconosce più dopo averla violata così tanto.
Il lavoro dell’autore è stato accolto calorosamente dalla critica e da molte firme autorevoli del mondo letterario italiano:
«Dimora naturale, di Andrea Bajani, è un libro in cui spiccano due testi consacrati alla poesia come strazio vocale o asteroide. Ma vanno lette con attenzione anche le composizioni sulla farmacia, “un negozio con dentro gli attrezzi | per riparare il dolore della specie”, sui cani che ci guardano sotto forma di documentari, sui cantieri stradali come una forma di sollievo della terra. Queste 50 liriche di 8 versi l’una formano un canzoniere talmente ispirato e piano da risultare anomalo nel senso più alto del termine».
Valerio Magrelli
«C’è un gabbiano che, forse per sbaglio, porta il mare sul terrazzo, e c’è un poeta che si interroga sul senso di questo disorientamento animale: prendere una palazzina anni Cinquanta per la propria dimora naturale. È lo scarto che conta (il gabbiano fuori luogo), la lontananza che si fa presenza allucinata o la coincidenza inattesa (e quasi miracolosa) tra l’umano e il non umano? Dove sta la minaccia? Ed è poi davvero una minaccia? La poesia è in questa “dimora naturale” che apre vertigini ed enigmi».
Paolo Di Stefano
«Un decentramento dello sguardo, un fascino dell'elevazione e della levità, che fa venire in mente, certo, il leopardiano Elogio degli uccelli, e più in generale quell'avventura propria di una tradizione poetica che intende la lingua della poesia come resistenza alla fine dell'infanzia: una resistenza che cerca di accogliere, di quel perduto fiabesco mondo vivente, echi, sguardi, fantasmi. Senza rimpianto, ma trasformando il lontano incantamento in conoscenza fantastica».
Antonio Prete, «Alias – il manifesto»
«Un'ironia amara e paradossale anima le poesie di Bajani, mai sfiorate dal rischio della solennità. Quale sarà, si chiede ancora il poeta, la voce della nostra specie? “Non è un grugnito o un miagolio | è un po' belato un po' starnazzo. È la poesia, lo strazio vocale di ogni io. Bello o brutto, è il verso che facciamo”. Il basso continuo dell'ironia si rovescia cosi in una pietas creaturale universale, sì che potremmo leggere l'intera raccolta come un sermo humilis, un invito ricorrente a riscoprire il valore supremo della gentilezza, “che è senza spiegazioni, non ha ratio”, ma come “forza pura e disarmata, | si propaga come suono nello spazio”. Un po' come la bontà illogica di Vasilij Grossman».
Franco Marcoaldi, «Robinson – la Repubblica»
«L'angolazione di Bajani permette aperture filosofiche, diventa pensiero poetante: innesca una serie di immagini che in sintesi ci parlano della nostra vita, del nostro essere in precario equilibrio in un mondo che crediamo solo di conoscere. Il mistero viene dall'interazione con la bellezza, naturale appunto, degli animali che ci affiancano: chi siamo, e quanto siamo diversi da loro? Il nostro cervello, di cui abbiamo la tendenza a vantarci, per Bajani è un abnorme fardello, una condanna. Il nostro stesso linguaggio, e in particolare quello poetico, è misurato su parametri animali: se l'inchiostro è spruzzato dalle seppie come forma di difesa, Bajani si chiede "qual è la ghiandola … che secerne questi versi" e, soprattutto, quale sia la minaccia che il poeta deve affrontare. La domanda è dunque sul senso stesso della poesia, difesa contro il dolore provocato dalla vita o forse, meglio ancora, contro la difficoltà a capirne il senso e il valore. Gran parte della letteratura del secolo breve ha ruotato intorno a questo tema e a questa domanda, molto esistenziale e poco letteraria e ora forse si avvicina a una nuova domanda: quanto c'è di "natura" in noi, quanto ne abbiamo bisogno, anzi quanto è indispensabile?»
Bianca Garavelli, «Avvenire»
«La coerenza poetica, rispetto al precedente libro, si trova appunto nella dimensione metaletteraria, anzi Bajani sembra proprio riprendere il filo di un tema esaminato in precedenza: come trovare salvezza nella parola. Lo fa all'interno di un valore comparativo, tanto da ricordarci un altro validissimo autore, Ivano Ferrari e il suo Macello».
Mary B. Tolusso, «Il Piccolo»
«Ma c'è anche quello che Michel Serres chiama “mondo muto” in questo piccolo e prezioso libro, la terra, i fiumi, i laghi, sconvolti dalle alterazioni climatiche, che parla appunto di un nuovo patto con la natura, la terra che in alcuni di questi versi “riprende a respirare” dopo che gli operai con la scavatrice spaccano la strada, una volta “ristabilito il patto originale”».
Angelo Ferracuti, «il manifesto»
«Quarantanove componimenti più uno, tutti di otto versi, che sono “lo strazio vocale di ogni io”, la voce della specie cui apparteniamo. Quando è così ispirata, questa voce riesce a rendere più tollerabile la nostra appartenenza, almeno per chi ha il privilegio di ascoltarla».
Rosella Postorino, «Tuttolibri – La Stampa»
«Poco prima del Giubileo arrivai a Roma, vedevo i gabbiani in città e mi parevano orfani del mare. Negli anni Dieci hanno invaso l'Urbe e io sono tornato a Milano. Oggi, di passaggio a Roma, ho trovato nel nuovo libro di Andrea Bajani l'esatta espressione di quel doppio disorientamento che suscita la vista di questi uccelli regali e il loro destino vile e minaccioso di spazzini predatori».
Luca Mastrantonio, «Sette – Corriere della Sera»