Giulio Einaudi editore

Prigioniero 325, Delta Camp

Dai sobborghi di Lione a Guantánamo
Copertina del libro Prigioniero 325, Delta Camp di Nizar Sassi
Prigioniero 325, Delta Camp
Dai sobborghi di Lione a Guantánamo
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Un documento sconvolgente: la prima testimonianza dall'interno del carcere di Guantánamo raccontata da un giovane marocchino riconosciuto in seguito innocente dai tribunali internazionali.

2006
Stile Libero Inside
pp. 176
€ 13,50
ISBN 9788806184711
Traduzione di

Il libro

«Mi chiamo Nizar Sassi, ho ventisette anni e ne ho trascorsi quattro dietro le sbarre, di cui trenta mesi a Guantánamo, il campo di prigionia piú segreto del mondo. Per niente. Lo so, è difficile da credere. La gente pensa che tutti quelli che sono finiti là siano per forza combattenti o terroristi. Ce ne sono. È vero. Ma parecchi altri ci sono arrivati senza neanche sapere perché. Io faccio parte di quest’ultimi».

Periferia di Lione, giugno 2001, tre mesi prima dell’attacco alle Torri. Nizar Sassi è un ragazzo come tanti, di una famiglia musulmana ben inserita nel tessuto sociale francese. Non conosce l’arabo, non è particolarmente religioso e di Al Qaeda o Bin Laden non ha mai sentito parlare. Ma una passione vera il ragazzo ce l’ha, anche se non gli è possibile esercitarla. Sono le armi. Cosí, malauguratamente, si lascia convincere da un conoscente arabo a seguire un corso di addestramento e, mentendo alla famiglia, vola verso il Pakistan nell’estate del 2001. L’11 settembre sorprende Nizar nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il Pakistan chiude le frontiere e Nizar dopo una terribile fuga sotto i bombardamenti di Tora Bora viene venduto alla Cia e spedito a Guantánamo. Da qui in avanti inizia la personale «cronaca dell’orrore» – torture, isolamento, interrogatori – di un ragazzo che ha avuto la colpa di essere un ingenuo.

«Se un detenuto, per un motivo o per l’altro, rifiuta di uscire dalla gabbia, gli americani mandano dentro i cani. Altre volte, per vincere la resistenza di un prigioniero, arrivano in cinque, dei giganti in tenuta da combattimento. Con indosso casco e giubbotto antiproiettile, ginocchiere nere e scudo, cominciano cospargendo il detenuto di gas lacrimogeno attraverso la rete metallica. Poi aprono la porta, si scagliano sul tizio bloccandolo con uno scudo contro la parete. Dopodiché gli dànno una gran manica di botte. Il tizio viene colpito, messo a terra, legato e trascinato all’esterno. Il tutto fra le grida e gli strepiti degli altri detenuti».