Giulio Einaudi editore

Tempo d’estate

Scene di vita di provincia
Tempo d’estate
Scene di vita di provincia
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J. M. Coetzee è morto. Questa è la sua biografia, ricostruita attraverso le interviste alle persone che gli furono vicine: parenti, colleghi, amanti.
Ne viene fuori un ritratto sorprendente e spietato di un uomo inadatto alla vita adulta e di uno scrittore mediocre.
Ma Coetzee è vivo, è uno dei maggiori scrittori in lingua inglese, e questo è il romanzo che nei paesi anglosassoni è stato accolto come il più urgente ed emozionante dell'ultimo decennio.

2010
Supercoralli
pp. 256
€ 20,00
ISBN 9788806200862
Traduzione di

Il libro

J. M. Coetzee è morto. Un giovane accademico inglese decide di scrivere la biografia del premio Nobel sudafricano: si soffermerà in particolare sulla prima metà degli anni Settanta quando lo scrittore, appena tornato dagli Stati Uniti e ancora ben lontano dalla fama letteraria, viveva al limite dell’indigenza insieme al padre in una modesta villetta. Per farlo, intervista alcune persone che lo conobbero – tra cui due donne che ebbero una relazione con lui – e che gli furono vicine durante quei difficili anni di apprendistato alla vita. Perché, sebbene abbia più di trent’anni, John Coetzee appare un uomo inadatto alla vita adulta, bloccato nella condizione di figlio, incapace di mantenere una relazione con le donne, un solitario chiuso in se stesso, un amante freddo e maldestro («uno stoccafisso»), un insegnante controvoglia, uno scrittore tutt’altro che talentuoso («non aveva una sensibilità speciale, almeno che io potessi individuare, nessuna intuizione originale sulla condizione umana»). Ma la caratteristica che più di tutte emerge dai racconti dei testimoni è la profonda sfiducia che il futuro autore di Aspettando i barbari sembra nutrire verso il linguaggio e la capacità degli uomini di comunicare – e di conoscere se stessi – attraverso le parole.
Per queste sue «memorie d’oltretomba», terzo momento (dopo Infanzia e Gioventù) dell’affresco autobiografico delle Scene di vita di provincia, Coetzee scompagina le carte: non solo perché immagina la propria morte e ne affida il racconto a testimoni forse non così affidabili (veramente Coetzee era scapolo in quegli anni? Veramente la madre era morta?), ma perché spinge fino al punto di non ritorno le categorie stesse di autobiografia e finzione, di identità e realismo.
«E se fossimo tutti fabbricatori di storie, come lei dice di Coetzee? E se tutti continuamente inventassimo la storia della nostra vita?» Solo il romanzo – è la scelta di Coetzee -, con le sue ambiguità e le sue infinite complicazioni, resiste alla tentazione di dare risposte facili a domande complesse.