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Vite senza fine

Copertina del libro Vite senza fine di Ernesto Franco
Vite senza fine
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Le imprese comuni e straordinarie di un piccolo eroe moderno, fondatore della più grande ditta di ferramenta dei suoi tempi. Un'epopea dimessa e struggente cucita intorno ai sogni di un uomo che, con viti e bulloni, vuole tenere insieme il mondo.

1999
I coralli
pp. 105
€ 8,26
ISBN 9788806151645

Il libro

Alle soglie del 1900 Gio Magnasco, ancora ragazzino, gioca con una rondella da quindici e con un chiodo cavallottino. E’ un segno del suo destino, che lo porterà a diventare un mago della ferramenta. Arrivato a Genova dal Piemonte, lavora al cantiere dove si sta costruendo un grande transatlantico, il Principessa Mafalda, e le sue invenzioni tecniche fanno concludere i lavori in anticipo sui programmi. L’armatore Perrone, uno degli uomini più potenti di Genova, lo invia dall’altra parte del globo a realizzare la più lunga ferrovia del Sudamerica. Poi il ritorno in Italia, la ditta “Gio Magnasco&Gigli”, il viaggio in Africa alla fiera dei ferramenta di tutta Europa, l’incontro con un mondo estraneo, da colonizzare al culto della tecnica e dell’efficacia. Gio Magnasco è un homo faber, porta con sé il mito della razionalità e del progresso. Ma porta con sé anche un’intima malinconia, un sentimento di desiderio. In questo è un uomo non meno novecentesco. La sua storia d’amore con la figlia di Perrone dura tutta la vita ma è quasi tutta mentale. Gio Magnasco è colui che connette gli opposti e li rende complementari, come chiavi e serrature, come maschi e femmine di un tassello. Questa duplice anima è rappresentata dal suo strano negozio, dove si vendono sí viti, ganci, ecc., ma anche bottoni, lacci, nastri: l’unico negozio al mondo di ferramenta-merceria. “Mi piace mettere insieme le cose, – dice. – E che ci restino”. Con la precisione e l’eleganza della tecnica, con la sensualità silenziosa del sogno. Come il suo personaggio, anche l’autore, Ernesto Franco, riesce a coniugare nel romanzo stili e toni apparentemente incompatibili: l’epica del progresso e l’elegia metafisica. Come un film di Sergio Leone avvitato a una canzone di Paolo Conte.

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