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L’isola e il tempo
Un giallo letterario fuori da ogni canone e con una triplice forza: una struttura insolita, un ritmo serrato e una penna rara.
La chiave del mistero è nell'animo di chi racconta.
Non capita spesso d'imbattersi in libri come questo, vivi, spiazzanti, per la forza della storia e della scrittura. Immaginate un'isola vulcanica dalla bellezza selvaggia a sud della Sicilia, alle soglie degli anni Sessanta. E immaginate l'arrivo di un barchino verde con a bordo un naufrago stremato e il cadavere di una donna, sua moglie. È un evento che rompe la quiete di quel mondo, poi lentamente ognuno torna alla sua vita. Ma per il protagonista dell'Isola e il tempo quei giorni, e l'indagine che ne è seguita, sono una materia da raccontare per trent'anni a chiunque si prenda la briga di ascoltarlo: donne che passano, monelli di strada, turisti che a poco a poco cambiano il volto dell'isola. Perché in quel pugno di ore si condensa un enigma irrisolto prima di tutto dentro di lui.
Il libro
Ci sono luoghi che sono mondi. Cosí è l’isola mai nominata, di fronte alla ‘Mpidusa, verso la fine degli anni Cinquanta: pochi abitanti che si conoscono da sempre, tre cime viste dal mare, la vegetazione secca, la terra nera. E la fatica degli uomini e delle donne per la sussistenza: la pesca, le magre coltivazioni di capperi e lenticchie, qualche bestia. A spezzare il ritmo dei giorni è l’arrivo di un barchino con a bordo due persone: un uomo vivo e una donna morta. Un incendio ha distrutto la loro barca a vela, racconta il superstite, e nel naufragio hanno perso la vita anche i coniugi Domoculta e i loro tre bambini. Mentre il maresciallo Bonomo apre un’indagine convinto di poterla archiviare presto, il tredicenne Nonò s’improvvisa detective. Ascolta i discorsi di tutti nascosto negli angoli piú improbabili, fiuta piste, mette insieme i tasselli. Ma ogni cosa è piú complicata di come sembra, e anche questa storia, proprio come l’isola all’alba, appare avvolta di fatemorgane. Per riconoscerne i confini bisogna allontanarsi, fissare l’occhio sul paesaggio, su piccoli dettagli: persino certi luoghi – la caserma, il porticciolo, la pergola di Tina – scandiscono, mutando, il tempo e il senso delle cose. Ecco perché tutta la storia dev’essere narrata, con calma e da principio, a chiunque passi, alla ricerca del filo che continua a scappare dal disegno. Anche quando l’indagine volge al termine, Nonò non smette di correre per l’isola e perlustrarne i fondali, per trovare il punto in cui la barca si è inabissata. E quando finalmente, con l’aiuto del fratello Filippo, riesce a raggiungerla, insieme ai corpi dei Domoculta scopre un altro cadavere: quello del colpevole. Ma chi può credergli, se ormai tutti dicono che ha perso la ragione? Perché, di fatto, proprio nel momento in cui il giallo si sgarbuglia, tutto comincia a ingarbugliarsi nella memoria di Nonò, che a tratti rimuove le parti di racconto piú dolorose. Un narratore ferito, piú che inattendibile. In questo romanzo che vive di una scrittura letteraria molto potente, maestosa e naturale insieme, il tempo si morde la coda, è definito ma anche mobile: un tempo in cui tutto continua ad accadere. E chi racconta, con l’illusione di approdare prima o poi a un finale diverso, rimane agganciato per sempre – con il lettore – all’enigma irrisolto.