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Il secolo d’oro olandese
Gli storici dell'arte sono abituati a utilizzare l'espressione «Secolo d'oro olandese» per riferirsi alla civiltà dei Paesi Bassi della fine del Cinquecento e poi del Seicento, e in particolare all'esplosione artistica di quel momento straordinariamente fecondo. Jan Blanc, uno dei maggiori conoscitori del periodo, si propone di ridiscutere questa definizione, analizzando il modo in cui sono stati tracciati i contorni del XVII secolo dagli olandesi dell'epoca, oltre che dai loro contemporanei nel resto d'Europa. Questa età dorata è stata infatti un momento di profonde inquietudini e sconvolgimenti: tra i feroci conflitti che l'hanno attraversata e lo svanire delle tensioni religiose precedenti che ne ha fatto un'epoca di grande apertura e tolleranza. Un'epoca in cui le Province Unite hanno riaffermato la propria egemonia economica e commerciale, fondata soprattutto sui traffici e sul dominio coloniale. Intellettuali, poeti, filosofi e artisti hanno colto con la parola, il colore e le idee questa profonda trasformazione; studiare i loro contributi, nella varietà che offrono, consente di dare vita al composito ritratto di una nazione in divenire, dalla guerra degli Ottant'anni al primo decennio del Settecento. Da Frans Hals a Carel Fabritius, da Rembrandt a Vermeer, passando per interpreti meno noti ma altrettanto stupefacenti, un libro prezioso, ricco di meravigliose illustrazioni, che ricostruisce, con rara profondità storica, la cultura e la società che hanno dato vita a un periodo artistico irripetibile.
Il libro
«Per amore di verità e per onestà intellettuale, lo storico dell’arte non deve spalmare sui fenomeni del passato i valori del suo presente o i vincoli del suo tempo. Realisticamente parlando, questa proiezione risulta inevitabile; ma deve trovare un limite nell’esame critico delle fonti e dei documenti di prima mano e nel fare riferimento, per quanto possibile, alle griglie di lettura e alle gerarchie prevalenti nell’epoca presa in esame. Tuttavia, questa ambizione di neutralità assiologica non significa che si debba guardare al passato senza alcun distacco o senso critico. Gli storici dell’arte, poiché dipendono dalla documentazione, corrono anche il rischio di farsi strumento in mano a varie forme di strumentalizzazione ideologica o alle aberrazioni della documentazione. La società neerlandese del XVII secolo, profondamente patriarcale e violenta e la cui ricchezza discendeva ampiamente dalle conquiste coloniali in America, Africa e nelle Indie orientali, dava voce assai di rado a una visione critica su sé stessa, e ancor meno poteva farlo nelle rappresentazioni, che il piú delle volte miravano a idealizzare il mondo piuttosto che a gettare uno sguardo neutrale su di esso. Le Province Unite del XVII secolo, dopo aver ottenuto a caro prezzo l’indipendenza politica, aspiravano anzi a costruire e vivere in una nuova Età dell’oro, simile a quella degli antichi, caratterizzata da prosperità, uguaglianza e tolleranza. In tale contesto intrinsecamente distorto, la nostra responsabilità è quella di ricostruire l’intera realtà storica, anche esplicitando ciò che, nelle fonti e nei documenti, rimane implicito o addirittura è semplicemente taciuto. Per evitare questi due rischi – quello di un colpevole angelismo e quello di una demonizzazione non pertinente – l’unica soluzione, a mio avviso, è scrivere quella che Lucien Febvre ha per primo definito una “storia dal basso”: una “storia delle masse e non delle personalità eccellenti”, una “storia vista dal basso e non dall’alto”».