Giulio Einaudi editore

Severino Cesari 1951-2017


Severino Cesari e Paolo Repetti

 

Altri, con più lucidità e la giusta distanza sapranno dire meglio di me cosa ha rappresentato Severino Cesari - Seve - per il giornalismo e l'editoria italiana. Stasera, a pochi minuti dalla notizia della sua scomparsa, della scomparsa del mio fratello maggiore di avventure e imprese editoriali, posso solo dire il vuoto che la sua figura lascia dentro di me. Severino è stato un maestro dell'ascolto. Tutti i nostri autori lo sanno. Aveva la pazienza, il distacco, l'attenzione lucida di un monaco buddista. E tutte le virtù di un maestro di cerimonie. Della cerimonia che, insieme alla vita, ha amato di più: la letteratura, che della vita in genere, e della sua vita, era parte integrante.

Spesso l'ho visto incantarsi davanti a un fiore, una montagna, un libro antico, una parola. E fermarsi lì, in ascolto. Eravamo così diversi e così uniti. Io, un impulsivo navigatore della superficie. Severino, piantato come una quercia che trae la sua linfa, la sua conoscenza, solo dopo aver messo radici. Ascoltava, dicevo. Spesso in silenzio. Non l'ho mai sentito esprimere un parere corrivo, orecchiato. Detestava il chiacchiericcio mondano sui libri. Per lui, su ogni parola, si giocava la bellezza e la verità di un testo. E non mollava l'osso fino a quando non ne fosse stato convinto.
Poi, quando i libri finalmente uscivano, Severino si ritirava «in clandestinità». Lasciava a me, a noi tutti la palla. Qualche volta provavo a convincerlo: «Seve, dovresti chiamare tu il tal critico o un giornalista, non lo fai mai!» Lui annuiva. La telefonata magari prima o poi arrivava. Ma quando il libro era già uscito da mesi.

Caro Seve, quanto era tenera e tua quella timida discrezione.

La vita è stata incredibilmente generosa con lui. E sembra un paradosso dirlo per una persona martoriata negli ultimi anni dalla malattia. È stata generosa perché lui lo è stato con lei. Ecco l'insegnamento forse più grande che mi ha lasciato. Non esistono sventure, malattie, drammi che non sia possibile trasformare in una occasione di sguardo verso un altrove. Severino lo ha fissato con candore, fino agli ultimi istanti, come stupito della forza invincibile che ha la vita, se la si attraversa con l'intelligenza di un cuore immenso.

Ciao Severino, ora sta a noi prendere una parte di te nelle nostre vite.

Paolo Repetti, «la Repubblica» del 26/10/2017.