Giulio Einaudi editore
Deepti Kapoor

Sono amati da alcuni, odiati da molti, temuti da tutti. I Wadia controllano trasporti, miniere, zuccherifici. Ma è con la speculazione edilizia che stanno consolidando il loro impero. Ora però le proteste di chi viene sfrattato montano e il «Delhi Post» sta indagando per fare esplodere lo scandalo. Grazie al carisma e alla determinazione, Neda è riuscita a insinuarsi nella cerchia di Sunny Wadia, il rampollo destinato a prendere in mano le redini della famiglia. Ma invaghirsi di una giornalista come lei è una debolezza che a Sunny potrebbe costare molto cara. Il compito di scongiurare la rovina spetterà ad Ajay, ragazzo di origini poverissime, autista, tuttofare, guardia del corpo e, all’occorrenza, vittima sacrificale.

L'età del male di Deepti Kapoor, primo volume di una trilogia, è stato «il caso della fiera del libro di Francoforte» (Alessia Rastelli, «Corriere della Sera) ed è tradotto, o in via di traduzione, in più di 30 Paesi. Presto diventerà anche una serie tv.

«Deepti Kapoor ha tratteggiato un dipinto preciso e puntuale di una situazione drammatica […] Tranne le storie dei protagonisti, è tutto vero: questo mondo corrotto e avido è l’India che Kapoor conosce. Per gli Indù è Kali Yuga, l’ultima età, l’età del vizio contro la quale qualsiasi sforzo è futile. È un’epoca senza dèi, dominata da uomini corrotti dall’ateismo e dal potere accumulato. È una condanna, una dannazione. Chi attraversa l’ultima era del ciclo induista non si rende conto di non avere più risorse: è confuso dal benessere. Forse è proprio per questo che non si può definire L’età del male un thriller, perché, benché sia il primo capitolo di una trilogia, non può giungere a una conclusione. “Il male”, come scriveva Cormac McCarthy, “Non ha un inizio e non ha una fine. Il male è, e noi siamo in relazione a esso”».
Giulio D’Antona, «tuttolibri – La Stampa»

«L’età del male è un affresco potentissimo, affascinante e violento di come gli universi del nostro mondo girino vorticosamente e senza scampo attorno al denaro, che diventa il nucleo, il nocciolo radioattivo di emozioni, aspirazioni, sentimenti, incubi e sogni di tutti, dagli emarginati che stanno addirittura oltre i bordi della società, intoccabili senza casta, fino a quelli che ci stanno al centro, anzi, sopra, con lo sfarzo e la potenza di antichi maraja. Bravissima Deepti e bellissimo L’età del male. […] Nonostante tutta la feroce disperazione che contiene, nonostante la sua disturbante violenza, questo è anche un romanzo spesso ironico e sicuramente divertente. Come Deepti ci sia riuscita è frutto di quella magia che appartiene ai grandi scrittori».
Carlo Lucarelli, «Corriere della Sera»

«Pagine imbevute nell’adrenalina di un viaggio nel sottobosco del crimine, nella politica corrotta e tra le speranze disattese dei nullatenenti del nord dell’India. Ma è anche un’escursione antropologico nella “New India” di vent’anni fa, epoca in cui è ambientato il primo tomo di un’attesissima trilogia […] Quanta lucidità e capacità di narrare con un linguaggio semplice, avaro di aggettivi, con frasi brevi: soggetto, predicato verbale, complemento oggetto, punto. Poche, rapide descrizioni per dare vita a personaggi come Ajay e Sunny, ma soprattutto come quello più autobiografico, Neda Kapur, la reporter che s’invaghisce del figlio del boss criminale, che diventa la Eco di questo gangster Narciso e viene avviluppata in una ragnatela da cui sarà complicato uscire, pagando in un certo senso un prezzo di sangue per questa relazione pericolosa».
Carlo Pizzati, «la Repubblica»

«Un romanzo prorompente che vi trascinerà nei bassifondi di Delhi».
The New York Times

«Giorni con un dilemma orribile: divorarlo o centellinare i capitoli per farlo durare?»
The Washington Post

Premio Campiello 2022

Venerdì 27 maggio, in diretta dal Palazzo del Bo’ di Padova, è stata annunciata la cinquina finalista della 60esima edizione del Premio Campiello. Fra i titoli, La foglia di fico di Antonio Pascale, uscito il 2 novembre 2021 nei Supercoralli.

«Non è un libro sentimentale, ma è un libro che possiede un sentimento, dalla prima pagina all'ultima: il sentimento per le cose della vita. Si sorride, si ride di certe figuracce o di certe teorie casertano-filosofiche, si ringrazia per l'assenza di trama e la ricchezza di letteratura, ci si ripromette di andare al più presto in una pineta a piedi nudi e di portarci i bambini finché sono bambini, finché la vita non prenderà un'altra piega».
Annalena Benini, «Il Foglio»

«La foglia di fico è un libro di piacevolissima lettura che racconta piccole, sofferte, ironiche vicende dentro i grandi e gravi problemi del nostro Paese e del nostro tempo».
Domenico Starnone, «Corriere della Sera»

«Il personaggio che mi colpisce di più del libro è quello del padre. Una figura gigantesca. In genere tentiamo di distaccarci dai padri di non occuparci delle loro stesse cose. Invece nel romanzo l'idea di formazione, la trasmissione di sapere, passa attraverso lui».
Francesco Piccolo, «la Repubblica»

«Questo libro, già nell'ambivalenza del titolo, è il referto narrativo di una esperienza di ascolto della natura. Lo compie Antonio – il protagonista o l'autore che sia: vale la pena di intrupparsi nell'autofiction? – attraverso dieci capitoli splendidamente aperti dalle illustrazioni da codice miniato di Stefano Faravelli, che riescono a fare di una raccolta di brani un romanzo: un racconto omogeneo che Pascale governa con una scrittura divagante, frammentata, digressiva, tessendo una vera e propria ragnatela di microazioni e macroazione al centro della quale ci sono temi come l'amore, le scelte, la libertà, la felicità, il dolore, l'abbandono, la solitudine, la vergogna, l'inadeguatezza, la vita e la morte».
Generoso Picone, «Il Mattino»

«Leggendo quest'ultima felicissima (nel senso etimologico di feconda) autofiction polifonica di Pascale si può pensare alle atmosfere di Virgilio, vuoi per le Georgiche vuoi, soprattutto, per quel primo viaggio all'inferno e ritorno, quello che permette, se non di dipanare, almeno di avere chiari i fili in cui l'essere umano è costretto e poi imparare a conviverci».
Silvia Veroli, «il manifesto»

Il vincitore del Premio Campiello 2022 sarà proclamato sabato 3 settembre al teatro la Fenice di Venezia, selezionato dalla votazione della Giuria dei Trecento Lettori anonimi. Ecco gli altri candidati:

Fabio Bacà con Nova (Adelphi)
Daniela Ranieri con Stradario aggiornato di tutti i miei baci (Ponte alle Grazie),
Elena Stancanelli con Il tuffatore (La nave di Teseo),
Bernardo Zannoni con I miei stupidi intenti (Sellerio).

David di Donatello 2022

Martedì 3 maggio, negli studi di Cinecittà a Roma, sono stati assegnati i David di Donatello. Fra i vincitori c’è Donatella Di Pietrantonio, premiata insieme a Monica Zapelli per la miglior sceneggiatura non originale con L'Arminuta.

Dopo il libro quindi, vincitore del Premio Campiello 2017 e tradotto in tutto il mondo, continua il successo anche del film girato da Giuseppe Bonito.

«Non era una scommessa facile mettere in immagini il romanzo L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio [...] E invece la messa in scena sapientemente controllata di Giuseppe Bonito e una bella prova collettiva di recitazione (citiamo almeno le due "mamme", Vanessa Scalera quella naturale ed Elena Lietti quella adottiva) sanno restituire il disagio di chi vede crollare le proprie certezze e deve fare i conti con un mondo che nemmeno immaginava esistesse, ritratto di un'Italia piccolo borghese che aveva sperato di cancellare le proprie origini contadine e invece è costretta a farci i conti».
Paolo Mereghetti, «Corriere della Sera»

«Una delle voci più rilevanti, più significative, più letterarie del panorama italiano. L’Arminuta mi ha commosso».
Michela Murgia

«C’è una scrittrice unica in Italia. Per scrivere si alza molto presto al mattino e fra le cinque e le sette procede per “lampi”, come dice lei. Attraverso questi lampi, Donatella Di Pietrantonio ha scritto romanzi di grande potenza e L’Arminuta è una perla».
Matteo Nucci

Nadia Terranova

È il 27 dicembre 1908. Nicola ha undici anni, vive a Reggio Calabria e sta per addormentarsi nel suo catafalco, in cantina, legato con le funi della Madonna di Messina che si diceva avessero proprietà magiche. La madre, una donna prepotente e capricciosa, lo vuole sottrarre al diavolo e il bambino obbedisce senza protestare, assecondando ogni sua pretesa.

Barbara invece è dall’altra parte del mare, a Messina, arrivata in treno dalla nonna per vedere l’Aida. Sogna una fuga dal padre e non vuole sposare l'uomo «brutto e stupido» scelto per lei. Non vuole essere rinchiusa nella sua casa.

«Un attimo prima di voltare le spalle alla notte, il mare si mosse» e il più devastante terremoto mai avvenuto in Europa rade al suolo le due città.

Nadia Terranova attinge alla storia dello Stretto, il luogo mitico della sua scrittura, per raccontarci di una ragazza e di un bambino cui una tragedia collettiva toglie tutto, eppure dona un'inattesa possibilità. Quella di erigere, sopra le macerie, un'esistenza magari sghemba, ma più somigliante all'idea di amore che hanno sempre immaginato. Perché mentre distrugge l'apocalisse rivela, e ci mostra nudo, umanissimo, il nostro bisogno di vita che continua a pulsare, ostinatamente.

Trema la notte è un romanzo potente, intimo, doloroso e pieno di speranza, che sta entusiasmando la critica:

«In Trema la notte c'è fame di vita. E c'è una scrittrice che ha trovato la voce perfetta e levigata di due figure cariche di umanità, di rabbia e di grazia. Un libro magnifico».
Stefania Auci

«Nadia Terranova racconta di superstiti, di donne che fanno comunità, di famiglie senza sangue e di scrittrici senza tomba; di certezze e di orizzonti che tremano».
Giulia Caminito

«Nadia Terranova ha avuto in questo libro il coraggio di allontanarsi dalla scrittura delle sue opere precedenti per arrivare a una mimesi perfetta della lingua di una giovane del primo '900. È una lingua che suona allo stesso tempo antica e moderna, spiazza il lettore nell'incipit, ma poi subito lo prende dentro portandolo in stretto contatto con i personaggi e i loro posti di sciagure e bellezza».
Donatella Di Pietrantonio, «tuttolibri – La Stampa»

«Nadia Terranova racconta due vite a partire dalla vigilia del giorno in cui "il mare si mosse". Dal 27 dicembre del 1908, quando un bambino va a dormire a Reggio Calabria, una ragazza è a teatro con sua nonna a vedere l'Aida, a Messina. Poi, un momento prima di voltare le spalle alla notte, la libertà che entrambi sognavano, la ribellione che progettavano, si presenta vestita da baratro. Trema la notte - il romanzo – diventa allora una camera a spalla sull'apocalisse. Un piano sequenza sul terremoto che rade al suolo due città, decine di migliaia di vite ma non quelle di Nicola e Barbara».
Concita De Gregorio, «la Repubblica»

«La prima parte del romanzo rivela le macerie, che in senso trasfigurato potrebbero anche farci pensare alle macerie collettive con cui l'umanità sta facendo i suoi conti in questi giorni […] Ma la seconda parte del romanzo è dedicata al senso profondo della speranza».
Valeria Parrella, «Grazia»

«Terranova sa usare parole precise per dipingere le sfumature che si agitano nell'animo dei suoi personaggi; conosce perfettamente le contraddizioni dei desideri e della volontà; le contraddizioni dell'amore. Ma sa che per mettere in moto un cambiamento c'è bisogno di una spinta radicale».
Gaia Manzini, «Il Foglio»

«Nadia Terranova consegna un libro potente, profondo come lo sono le viscere in cui ci accompagna, a un tempo documentato su ciò che è avvenuto in quei giorni di apocalisse terrestre e generativo di alleanze. Tante e tali sono le sincronicità che lei stessa, con sapienza, cuce al dritto e al rovescio per descrivere il congedo improvviso di un mondo che ne restituisce un altro inimmaginabile ma con cui ci si deve confrontare».
Alessandra Pigliaru, «il manifesto»

«Due grandi e contagiosi maestri: il pirotecnico Vincenzo Consolo da un lato, e il sinuoso, ipnotico Gesualdo Bufalino dall'altro».
Emanuele Trevi, «Corriere della Sera»

«Prendendo spunto dalla più grande catastrofe sismica d'Europa, l'autrice riesce a firmare, in definitiva, un potente inno alla vita».
Francesco Musolino, «Il Messaggero»

«Un viaggio nel tempo sulla cresta di una scrittura elegante nella sua vividezza».
Nadeesha Uyangoda, «Internazionale»

«Un romanzo dolce e feroce, bellissimo, fatto di sguardi che affiorano sulle pagine mostrando percorsi labirintici. Si parla di famiglie, di libertà, di violenza, di sofferenza, di sopraffazione e riscatto. Di donne, che sanno sempre salvarsi da sole. E della Luna, uno dei personaggi di questo sensuale e materno romanzo sempre cullato dal movimento stregato del mare».
Romana Petri, «Io Donna»

«C'è qualcosa di molto potente in queste pagine [...] Un romanzo denso di vita, morte, rovine, nuove possibilità, in cui brillano le donne, indomite, coraggiose, oltraggiate ma arrese mai».
Marta Cervino, «marie claire»

«Crossroads» di Franzen è il vincitore della Classifica di Qualità 2021 della Lettura

Crossroads di Franzen, uscito il 5 ottobre nei Supercoralli, si aggiudica il primo posto nella Classifica di Qualità 2021 de «La Lettura – Corriere della Sera» con 364 punti.
Queste le parole di Marco Missiroli sulla vittoria dello scrittore americano:

«Al centro c'è la famiglia Hildebrandt dai giorni dell'Avvento del 1971 in avanti: le turbolenze del padre Russ, pastore di una chiesa locale, e di sua moglie Marion, in bilico tra sospetti coniugali e illusioni, e dei figli Clem e Becky già prontissimi a sognare una vita diversa. “Crossroads” è il nome del gruppo musicale che diventa il perno delle rappresaglie intime di ciascuno di loro. La storia possiede l'implacabilità de Le correzioni e il suo godimento, aggiungendo un'anima nuova, definito da una lettrice di cui mi fido molto: il Natale della letteratura. La festa delle feste. È vero: aprire quest'opera di Franzen significa accantonare Netflix e Amazon Prime Video per qualche sera, spassandocela con il ragazzaccio del Midwest che sputtana le debolezze di chiunque».

Classifica di Qualità

Nei primi 10 classificati ci sono anche Klara e il Sole di Kazuo Ishiguro e Jack di Marilynne Robinson.

«Quanto alla case editrici, Einaudi bissa il successo del 2018 e si conferma, come in passato, l'editore più votato, con 66 titoli nel 2021» (Severino Colombo, «la Lettura – Corriere della Sera»).

Maaza Mengiste

Il re ombra di Maaza Mengiste, uscito il 30 marzo nei Supercoralli, è il romanzo vincitore del Premio Gregor Von Rezzori 2021. L’autrice «ha scelto di scavare nella storia della guerra etiope, e nel farlo ha dissotterrato una miniera di fatti non ancora conosciuti, storie e persone straordinarie –  ha spiegato la giuria del premio composta da Beatrice Monti della Corte, Andrea Landolfi e Paola Del Zoppo – […] La storia ufficiale dice che la guerra fu combattuta dagli uomini. Mengiste ci svela che le donne, in battaglia, svolsero un ruolo altrettanto importante. Ed è soltanto una delle rivelazioni del Re Ombra, una saga complessa, avvincente e commovente, oltre che oggi necessaria».

Un riconoscimento importante che si aggiunge alla calorosa accoglienza della critica. Di seguito alcuni estratti:

«Le pagine sulla violenza perpetrata dalle truppe di Mussolini sono memorabili, narrate da un'onnisciente terza persona attraverso il filtro di Hirut, la protagonista del romanzo che è anche la memoria storica di quei tragici eventi. E Hirut è anche il simbolo di una lotta per i diritti delle donne soggiogate a un sistema patriarcale, prima ancora di essere umiliate dagli invasori».
Guido Caserza, «Il Mattino»

«Un romanzo intenso, vivo e appassionato, da leggere per mille motivi. Mille e uno, se come italiani si desidera osservare con uno sguardo altro una parte della propria storia non ancora sufficientemente conosciuta».
Francesco Filippi, «il venerdì – la Repubblica»

«Un romanzo forte, originale e appassionante di una scrittrice nata in Etiopia, che evoca la tragedia dell'invasione fascista e la resistenza eroica di un popolo […] È un romanzo importante per noi italiani: duro, rispettoso e attendibile; e non compiacente verso i limiti della cultura maschile d'ogni paese».
Goffredo Fofi, «Internazionale»

La premiazione

«Il re ombra, affresco epico e corale dipinto magistralmente da Maaza Mengiste, restituisce nomi e volti ai protagonisti dimenticati della guerra d'Etiopia, le donne guerriere che combatterono contro i "talian" cancellate dalla memoria storica, i ragazzini e le famiglie gasati con l'iprite [...] Un romanzo dalla parte degli oppressi, gli etiopi, a fronte di oppressori e invasori, noi italiani "brava gente", portati dal fascismo a conquistare l'Etiopia ad ogni costo per costruire l'impero e vendicare l'umiliante sconfitta di 40 anni prima ad Adua, la Caporetto africana».
Paolo Lambruschi, «Avvenire»

«Allora, io sono maschio, bianco e italiano. E nonostante abbia sempre fatto ogni sforzo per attenermi a quanto ci sia di più bello in questa definizione, non posso fare a meno di confrontarmi con la metà oscura che nasconde. Devo continuare a ricordarla, raccontarla e combatterla, devo farci i conti, comunque, se voglio che non ci sia più. Mi piacerebbe parlarne ancora. E anche questa è una delle tante cose importanti di cui ringrazio il bellissimo libro di Maaza Mengiste».
Carlo Lucarelli, «la Lettura – Corriere della Sera»

«Sono i caduti della Guerra d'Etiopia, che la scrittrice Maaza Mengiste fa rivivere in Il re ombra, romanzo finalista al Booker Prize che avrebbe indubbiamente meritato di vincere, magistralmente tradotto da Anna Nadotti. Narratrice di raro talento, racconta la storia delle donne che, come la sua bisnonna, combatterono insieme agli uomini l'aggressione fascista, “e che tutt'oggi non sono che rghe incerte in documenti sbiaditi”».
Lara Ricci, «Domenica – Il Sole 24 Ore»

Paolo Milone

Quante volte parliamo dei medici come di eroi, martiri, vittime… In verità, fuor di retorica, uomini e donne esposti al male. Appassionati e fragili, fallibili, mortali. Paolo Milone ha lavorato per quarant’anni in Psichiatria d’urgenza, e ci racconta esattamente questo. Nudo e pungente, senza farsi sconti. Con una musica tutta sua ci catapulta dentro il Reparto 77, dove il mistero della malattia mentale convive con la quotidianità umanissima di chi, a fine turno, deve togliersi il camice e ricordarsi di comprare il latte.

Quello di Milone è un esordio straordinario, come è straordinaria l’accoglienza che sta ricevendo da parte della critica e del mondo letterario. Di seguito alcuni estratti:

«L’arte di legare le persone di Paolo Milone mi ha stecchito. Che accidenti di libro. Ti porta dentro un mondo, quello della malattia psichica, del dolore insensato, che sembra opaco e impermeabile: invece Milone te lo spiega con pagine che sembrano canzoni belle, racconti di Carver, poesia. È un libro che fa venir voglia di mollare tutto, cambiare vita, fare qualcosa di utile per gli altri. Se lo avessi letto a diciotto anni, invece di leggere e rileggere Nietzsche, forse avrei fatto la psichiatra.
Dicono che gli psichiatri siano tutti matti. Non so se Paolo Milone sia matto ma sicuramente è uno scrittore molto bravo. L’arte di legare le persone racconta cosa vuol dire sentire il dolore degli altri e cercare di farci qualcosa. Spiega che anche quando non puoi farci niente devi esserci. Che le parole servono poco, i fatti molto. È un grandissimo libro. Complimenti gente di Einaudi».
Daria Bignardi, link

«In questo libro che sembra un diario, con una forma libera e poetica che a volte sembra una preghiera umanissima all’amore verso di sé, a volte il ricordo di una notte passata a impedire a una ragazza di buttarsi dalla finestra, Paolo Milone muove tutta l’umanità e l’intimità di un medico che vive tenendo tra le mani il dolore degli altri…»
Annalena Benini, «Il Foglio»

«L'arte di legare le persone è un’opera letteraria sulla malattia mentale tra le più belle, inusuali e poetiche degli ultimi anni. Pura emozione, intuizioni non banali, qualche provocazione, non ci si annoia mai. Un libro unico nel panorama italiano. Per forma, oggetto di scavo, capacità di indagine, arte del paradosso. Se ho citato Spoon River l'ho anche fatto con spirito provocatorio poiché, in questa ballata del mare salato, da quale regno escano i vivi e da quale i morti non è mai del tutto chiaro».
Nicola Lagioia, «Robinson – la Repubblica»

«Non è un romanzo, non è un saggio, è una storia che contiene noi stessi. Custodisce gli esseri umani per come vengono al mondo: c’è chi cura, chi è curato, chi rimane nel mezzo, chi lega e chi è legato. Leggerlo è come salire su una zattera e avere il coraggio di oltrepassare le colonne d’Ercole per vedere come siamo fatti, laddove ci consideriamo inesplorabili. Paolo Milone ce lo permette e lo fa con un mosaico emotivo che respira di verità dalla prima all’ultima pagina. Alla fine della lettura era commozione. Era spavento, stupore, fastidio, tenerezza. Era compassione. Alla fine della lettura, ho vissuto. È questo, per me L’arte di legare le persone è questo. Un’anatomia della vita».
Marco Missiroli

«Milone, con gli occhi di un protagonista di finzione ispirato a se stesso, racconta la routine del Reparto di psichiatria d'urgenza in un ospedale genovese e ci fa conoscere Lucrezia che ha 20 anni e si taglia con le lamette e Carmelo, che farebbe di tutto per comprarsi la dose. Il risultato è un libro delicato e sincero che sta riscuotendo consensi online con il passaparola, "parlando delle nevrosi senza scivolare nel politicamente corretto"».
Francesco Musolino, «Il Messaggero»

Con una scrittura che ha il passo della poesia, la stoffa del coraggio e l'intensità del mettersi a nudo, Milone ci porta per mano nel suo reparto, tra urla perforanti e silenzi assordanti, scalpiccii notturni, sedie spostate, la macchinetta del caffè che gorgoglia nella stanza infermieri, fruscio di lenzuola. […] Se ne esce col cuore felicemente crepato perché ogni istantanea è struggente umanità e salvifica lucidità, pugno e carezza, ferita e sutura, vita e morte insieme».
Carlotta Vissani, «il Fatto Quotidiano»

Don Winslow

Inedito in Italia, primo dopo la serie di Neal Carey, Ultima notte a Manhattan di Don Winslow è la storia di un omicidio che è solo un tassello di un disegno più vasto, un complotto ordito da chi sa di potere tutto.

Siamo alla fine degli anni Cinquanta, Manhattan è all’apice del suo fulgore, il posto ideale per chi ha grandi ambizioni o vuole soltanto cambiare vita. Joe Keneally è un giovane senatore che mira alla presidenza. Walter Withers, invece, a New York ci è tornato. Ha lavorato a lungo per la Cia e adesso è un investigatore privato in una grande agenzia di sicurezza. Le loro parabole si intersecano quando a Withers viene chiesto di fare da scorta durante un party a Madeleine Keneally, l’affascinante e ricca moglie del senatore, la «principessa d’America» che sembra destinata a diventare First Lady. Un compito di routine, all’apparenza. Ma nello stesso albergo alloggia anche la giovane e bella amante del senatore.

«Prima o poi succede qualcosa di brutto a qualcuno di loro […]. Per arrivarci Winslow si prende il suo tempo, tutto quello che gli serve e che ci vuole, intrecciando destini e caratteri, paranoie e coincidenze, nell'atmosfera ovattata e inquietante, elegante e frenetica, appunto, di un Natale a Manhattan. Sospetti e segreti che crescono fino a scoppiare in questo noir che sembra un romanzo di spionaggio York, e si muove come un hard boiled» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).

Winslow ha dato vita a un romanzo emozionante: «La narrazione e lo stile di Don Winslow  che qui leggiamo nella fedele traduzione di Alfredo Colitto  sono cose che prendono e non mollano. Perché è bravo, il nostro Winslow – personalmente è uno dei miei preferiti – padrone di un mestiere così solido che fa quello che deve fare il mestiere quando è solido: non si vede» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).

Con Ultima notte a Manhattan Winslow «non solo si addentra nel terreno, affascinante e potenzialmente pericoloso, del fanta-noir storico. Ma lo fa abbandonando la consueta, cristallina limpidezza dello stile e della scrittura. Per calarsi in un'altra scrittura e a un altro stile, meno "classici", meno controllati, più torrenziali e anarchici: quelli tipici dei maestri dell'hardboiled, Dashiell Hammett, Raymond Chandler. O il leggermente meno raffinato Mickey Spillane, l'unico citato esplicitamente, e in più di una occasione, nel romanzo. […] Il risultato è un affresco movimentato, pieno di ritmo, dipinto con partecipazione emotiva e un pizzico di nostalgia: sentimento che ci assale dì fronte a momenti della storia irripetibili, nel bene e perfino nel male, e che ci sembra di aver vissuto anche se non c'eravamo. Un'esperienza dolceamara, che evoca le note di un sassofono jazz dell'epoca: da leggere, magari, ascoltando gli album del primo John Coltrane» (Claudia Morgoglione, «Robinson – la Repubblica»).

«Ecco, dire che Ultima notte a Manhattan mette insieme il James Ellroy di American Tabloid, l'appena compianto John Le Carré de La talpa, e anche il Raymond Chandler de II grande sonno, è inopportuno soltanto perché anche Don Winslow è un grande classico alla pari degli altri» (Carlo Lucarelli, «tuttolibri – La Stampa»).