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Ci sono cose che non si raccontano perché le parole sono scogli nel mare. Ci sono cose che non si raccontano per vergogna, rabbia, troppo dolore, e perché se non le racconti, in fondo puoi sempre credere che non siano successe. Antonella e Andrea vogliono un figlio: adesso lo vogliono proprio, lo vogliono assolutamente. Ma è come se non ci fosse niente di semplice, nel desiderio più naturale del mondo: tutto ciò che può andare storto andrà storto, anche l'inimmaginabile.
Antonella Lattanzi ha trovato parole esatte per questa storia, che è sua e di tutte le donne - ambiziose, indecise, testarde, libere di scegliere. Un libro emozionante, che non si riesce a smettere di leggere, straordinariamente contemporaneo.
Il libro, uscito il 14 marzo nei Supercoralli, è stato subito accolto calorosamente dalla critica e dal mondo letterario:
«Antonella Lattanzi è una di quelle rare scrittrici che aiutano i maschi a intuire i segreti dell'anima femminile, del desiderio di maternità e del miracolo della riproduzione. Per farlo usa solo la verità, il talento e la lucida spietatezza di chi non teme nessuno».
Niccolò Ammaniti
«La scrittura di Lattanzi ha un ritmo trascinante e feroce, prende per mano il lettore e lo conduce nel suo mondo senza concedergli tregua. La spudoratezza del racconto personale è affiancata in ogni momento da uno stile magnetico che dona forza al magma delle azioni e dei pensieri della protagonista… Cose che non si raccontano è uno di quei libri che si scrive una volta nella vita ed è la conferma di una ottima scrittrice italiana».
Rossano Astremo, «il manifesto»
«Questo non è solo un romanzo: è un pezzo incandescente di vita. Vita nuda, cruda, vera, che ti afferra alla gola e ti toglie tutte le parole. Antonella Lattanzi le ha trovate, con immenso coraggio, con forza straordinaria, e le ha donate a tutti noi».
Silvia Avallone
«Lattanzi assalta il cuore e il cervello con un romanzo sul segreto indicibile di essere una donna che nasconde, rivela, soffre e scrive. E desidera. Quanto desidera! E quanto desidero anche io, grazie a questa donna, insieme a lei e alle sue cose che non si raccontano».
Annalena Benini
«Romanzo necessario e potente, vero e brutalmente onesto, sul desiderio di un figlio che non viene, sulle rotte che prendono certe esistenze, sul dolore di una donna che può essere di tante. Anzi, di tutte».
Chiara Oltolini, «Vanity Fair»
«L'autrice gestisce questa sua materia – gli eventi – in modo naturale ma anche con un forte elemento di thriller, un po' Stephen King ma soprattutto Shirley Jackson, senza bisogno di fare ricorso al soprannaturale».
Raffaella Silvestri, «Domani»
«Letto con l'unico sguardo di cui sono capace, quello maschile, il libro mi è sembrato insopportabile, imprescindibile, straordinario».
Domenico Starnone, «Corriere della Sera»
«Una storia di dolore fisico e mentale che pulsa in ogni rigo e che (cosa magnifica) sprigiona coraggio senza promettere lieto fine… Cose che non si raccontano è un bellissimo libro».
Bruno Ventavoli, «tuttolibri – La Stampa»
Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. Stai zitta di Michela Murgia, autrice da sempre attenta al tema della donna, è uno strumento che evidenzia il legame mortificante che esiste tra le ingiustizie che viviamo e le parole che sentiamo. Un libro militante, «il disvelamento feroce del sessismo nel nostro linguaggio in 112 pagine dense, ironiche, implacabili e attraverso dieci espressioni che raccontano, anzi denudano i meccanismi di potere (maschile) che in quelle parole si manifestano» (Maria Novella De Luca, «la Repubblica»).
Anche Michela Murgia si è sentita gridare «stai zitta» da un noto psichiatra contraddetto in radio durante un’intervista, eppure, per stessa ammissione dell’autrice, «ho perso il conto delle volte in cui qualcuno mi ha detto che le battaglie sul linguaggio sono marginali e che, con tutto quello per cui occorre ancora lottare, è fuorviante e persino dannoso andare a fare pignolerie proprio sulle parole. Il sottinteso è che le parole non contino niente e forse è per questo che in troppi le usano senza prendersene mai la responsabilità. Sottovalutare i nomi delle cose è l'errore peggiore di questo nostro tempo, che vive molte tragedie, ma soprattutto quella semantica, che è una tragedia etica» (Michela Murgia, «Vanity Fair»).
Per ogni diretto negato alle donne a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. «Celebre scrittrice, e tra le figure intellettuali di riferimento nel mondo della cultura italiana, Michela Murgia affronta con eleganza, brio e intelligenza quel legame sottile e mortificante che da sempre esiste, per le donne, tra le ingiustizie che vivono e le parole che le descrivono o con le quali ci si rivolge loro. In un universo in cui sono quasi sempre i maschi che hanno la possibilità di esprimersi in televisione, alla radio o sui giornali – come se solo i filosofi, gli scrittori, i giornalisti e i politici fossero in grado di avere risposte di fronte alle complessità del mondo – le filosofe, le scrittrici, le giornaliste e le politiche che si azzardano a prendere la parola vengono sistematicamente trattate come saccenti, maestrine, isteriche, talvolta persino galline. E se c'è chi, forse più educato di altri, riesce a trattenersi, è raro, anzi rarissimo, che una professoressa ordinaria non sia definita "dottoressa" o che un'avvocata non sia ridotta a "signorina" o "signora"» (Michela Marzano, «La Stampa»).
«Silenzio, Stai zitta! Lo sentiamo fin da bambine. Perché ancora oggi, nella nostra società maschilista, la cosa più intollerabile è che le donne prendano parola per affermare le proprie idee. Lo spiega bene Michela Murgia nel suo ultimo libro. Non facciamoci mai zittire!» (Laura Boldrini, link)