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Inedito in Italia, primo dopo la serie di Neal Carey, Ultima notte a Manhattan di Don Winslow è la storia di un omicidio che è solo un tassello di un disegno più vasto, un complotto ordito da chi sa di potere tutto.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta, Manhattan è all’apice del suo fulgore, il posto ideale per chi ha grandi ambizioni o vuole soltanto cambiare vita. Joe Keneally è un giovane senatore che mira alla presidenza. Walter Withers, invece, a New York ci è tornato. Ha lavorato a lungo per la Cia e adesso è un investigatore privato in una grande agenzia di sicurezza. Le loro parabole si intersecano quando a Withers viene chiesto di fare da scorta durante un party a Madeleine Keneally, l’affascinante e ricca moglie del senatore, la «principessa d’America» che sembra destinata a diventare First Lady. Un compito di routine, all’apparenza. Ma nello stesso albergo alloggia anche la giovane e bella amante del senatore.
«Prima o poi succede qualcosa di brutto a qualcuno di loro […]. Per arrivarci Winslow si prende il suo tempo, tutto quello che gli serve e che ci vuole, intrecciando destini e caratteri, paranoie e coincidenze, nell'atmosfera ovattata e inquietante, elegante e frenetica, appunto, di un Natale a Manhattan. Sospetti e segreti che crescono fino a scoppiare in questo noir che sembra un romanzo di spionaggio York, e si muove come un hard boiled» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).
Winslow ha dato vita a un romanzo emozionante: «La narrazione e lo stile di Don Winslow – che qui leggiamo nella fedele traduzione di Alfredo Colitto – sono cose che prendono e non mollano. Perché è bravo, il nostro Winslow – personalmente è uno dei miei preferiti – padrone di un mestiere così solido che fa quello che deve fare il mestiere quando è solido: non si vede» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).
Con Ultima notte a Manhattan Winslow «non solo si addentra nel terreno, affascinante e potenzialmente pericoloso, del fanta-noir storico. Ma lo fa abbandonando la consueta, cristallina limpidezza dello stile e della scrittura. Per calarsi in un'altra scrittura e a un altro stile, meno "classici", meno controllati, più torrenziali e anarchici: quelli tipici dei maestri dell'hardboiled, Dashiell Hammett, Raymond Chandler. O il leggermente meno raffinato Mickey Spillane, l'unico citato esplicitamente, e in più di una occasione, nel romanzo. […] Il risultato è un affresco movimentato, pieno di ritmo, dipinto con partecipazione emotiva e un pizzico di nostalgia: sentimento che ci assale dì fronte a momenti della storia irripetibili, nel bene e perfino nel male, e che ci sembra di aver vissuto anche se non c'eravamo. Un'esperienza dolceamara, che evoca le note di un sassofono jazz dell'epoca: da leggere, magari, ascoltando gli album del primo John Coltrane» (Claudia Morgoglione, «Robinson – la Repubblica»).
«Ecco, dire che Ultima notte a Manhattan mette insieme il James Ellroy di American Tabloid, l'appena compianto John Le Carré de La talpa, e anche il Raymond Chandler de II grande sonno, è inopportuno soltanto perché anche Don Winslow è un grande classico alla pari degli altri» (Carlo Lucarelli, «tuttolibri – La Stampa»).