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Manhattan, 2022. All’improvviso, non annunciato, misterioso: il silenzio. Tutta la tecnologia digitale ammutolisce. Internet tace. I tweet, i post, i bot spariscono. Gli schermi, tutti gli schermi, che come fantasmi ci circondano ogni momento della nostra esistenza, diventano neri. Le luci si spengono, un black-out avvolge nelle tenebre la città (o il mondo intero? Del resto come fare a saperlo?)
Cosa sta succedendo? È l’inizio di una guerra, o la prima ondata di un attacco terroristico? Un incidente?… Di certo c’è questo: era dai tempi di Rumore bianco che Don DeLillo non ci ricordava con tanta accecante precisione che viviamo, disperati e felici, in un mondo delilliano.
Come tutti i lavori dello scrittore americano anche Il silenzio ha suscitato un forte dibattito. Di seguito vi proponiamo alcuni estratti della calorosa accoglienza da parte della stampa italiana:
«"La vita può essere così interessante che dimentichiamo di aver paura”, scrive DeLillo, ed è da questo concetto che si sviluppano i temi del libro, raccontati ancora una volta magistralmente attraverso personaggi vulnerabili e spaesati, due dei quali reduci da un disastro aereo. Giunto ad ottantaquattro anni, DeLillo ribadisce la sua ammirevole e assoluta originalità di sguardo, e alterna la riflessione sui temi contemporanei a quelli eterni: la geopolitica, la tecnologia digitale, la grafologia e soprattutto il senso della fine».
Antonio Monda, «la Repubblica»
«[…] È un luogo angoscioso e cupo, ma al momento è l'unico che abbiamo, e ci dobbiamo stare. E continuo a pensare che Don DeLillo, l'ultimo americano, fosse l'unico scrittore al mondo che avesse la potenza, l'onestà, e il coraggio di darsi in sacrificio per dircelo. In Cosmopolis sta scritto: “Sarebbe morto ma non sarebbe finito. Il mondo sarebbe finito”. Ne Il silenzio non siamo morti, e non siamo finiti, ma il mondo sì: la quarta guerra sarà una genesi, e si combatterà con le parole».
Claudia Durastanti, «tuttolibri – La Stampa»
«DeLillo non chiarisce le ragioni del blackout. Ci coglie di sorpresa quando la tv si spegne a inizio partita, alle 18.30. Non ha consolazioni da offrirci. La realtà è quello che è, dobbiamo farcene una ragione. Come nel capolavoro Underworld (1997), tutto parte da un evento sportivo (in quel caso l'incontro di baseball tra i New York Giants e i Brooklyn Dodgers del 1951). In uno dei momenti più surreali della storia, Max fa la telecronaca della partita davanti allo schermo nero. Deve restare aggrappato ai ricordi. Prima di uscire di scena, il fan di Einstein Martin Dekker si congeda così: "Il mondo è tutto, l'individuo niente. Lo vogliamo capire?"».
Marco Bruna, «la Lettura – Corriere della Sera»
«Americana, suo debutto del 1971, e Il silenzio sono gli estremi di un affresco sulla storia contemporanea –che si estende per migliaia di pagine distribuite in una ventina di volumi– sempre impietoso e coerente. […] DeLillo batte i suoi romanzi su una vecchia macchina per scrivere, e non possiede nemmeno uno smartphone. Eppure nessuno meglio di lui sa, prima ancora che raccontare, percepire le crepe del nostro tempo. A 84 anni, con il Novecento sulle spalle, ha la vista più lunga di tutti verso il domani che si profila all'orizzonte».
Crocifisso Dentello, «il Fatto Quotidiano»
«L'oscurità che caratterizza Il silenzio si inserisce come una tessera riconoscibile nel mosaico di DeLillo. Il lettore potrà intravedere l'esito di Underworld nel passaggio dall'età industriale a quella digitale con l'implosione della realtà gonfiata da desideri superflui. Ci sono la dimensione dell'apocalisse, della tossicità dell'iperconsumismo e del progresso tecnologico che incombono in Rumore bianco, con cui DeLillo ha vinto nel 1985 il National Book Award».
Grabriele Santoro, «Il Messaggero»
«E per una volta anche il recensore vorrebbe imitare lo scrittore: leggete Il silenzio, mettete insieme le schegge che lo compongono, trovatene il senso, non trovatelo, trovate una via di mezzo o chissà cos'altro. Ecco il romanzo: andare soli in una foresta per trovarsi smarrendosi, eccitati e delusi, colpiti e annoiati, incerti e risvegliati. E qualcuno dirà: ma non è mica questo, che accade oggi nella stragrande maggioranza dei "romanzi"! Be', allora quella stragrande maggioranza di cose scritte non sono romanzi, e che tocchi a un ottantaquattrenne ricordarcelo: ah, questo è deliziosamente ironico…»
Giuseppe Montesano, «Il Mattino»
«I cinque protagonisti hanno già sperimentato il lockdown e capiscono subito che in confronto era stata una passeggiata. La percezione di quel che accade altrove, oltre la finestra, è sempre più vaga. Il tutto descritto nella solita vertigine che solo DeLillo sa creare frullando lo scibile intero: l'arte digitale, la comunicazione, l'economia, la medicina, la filosofia, il football americano. Un "vuoto barcollante" raccontato con la consueta poesia, tra schermi neri e luci di candela».
Mario Salvini, «La Gazzetta dello Sport»