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Quante volte parliamo dei medici come di eroi, martiri, vittime… In verità, fuor di retorica, uomini e donne esposti al male. Appassionati e fragili, fallibili, mortali. Paolo Milone ha lavorato per quarant’anni in Psichiatria d’urgenza, e ci racconta esattamente questo. Nudo e pungente, senza farsi sconti. Con una musica tutta sua ci catapulta dentro il Reparto 77, dove il mistero della malattia mentale convive con la quotidianità umanissima di chi, a fine turno, deve togliersi il camice e ricordarsi di comprare il latte.
Quello di Milone è un esordio straordinario, come è straordinaria l’accoglienza che sta ricevendo da parte della critica e del mondo letterario. Di seguito alcuni estratti:
«L’arte di legare le persone di Paolo Milone mi ha stecchito. Che accidenti di libro. Ti porta dentro un mondo, quello della malattia psichica, del dolore insensato, che sembra opaco e impermeabile: invece Milone te lo spiega con pagine che sembrano canzoni belle, racconti di Carver, poesia. È un libro che fa venir voglia di mollare tutto, cambiare vita, fare qualcosa di utile per gli altri. Se lo avessi letto a diciotto anni, invece di leggere e rileggere Nietzsche, forse avrei fatto la psichiatra.
Dicono che gli psichiatri siano tutti matti. Non so se Paolo Milone sia matto ma sicuramente è uno scrittore molto bravo. L’arte di legare le persone racconta cosa vuol dire sentire il dolore degli altri e cercare di farci qualcosa. Spiega che anche quando non puoi farci niente devi esserci. Che le parole servono poco, i fatti molto. È un grandissimo libro. Complimenti gente di Einaudi».
Daria Bignardi, link
«In questo libro che sembra un diario, con una forma libera e poetica che a volte sembra una preghiera umanissima all’amore verso di sé, a volte il ricordo di una notte passata a impedire a una ragazza di buttarsi dalla finestra, Paolo Milone muove tutta l’umanità e l’intimità di un medico che vive tenendo tra le mani il dolore degli altri…»
Annalena Benini, «Il Foglio»
«L'arte di legare le persone è un’opera letteraria sulla malattia mentale tra le più belle, inusuali e poetiche degli ultimi anni. Pura emozione, intuizioni non banali, qualche provocazione, non ci si annoia mai. Un libro unico nel panorama italiano. Per forma, oggetto di scavo, capacità di indagine, arte del paradosso. Se ho citato Spoon River l'ho anche fatto con spirito provocatorio poiché, in questa ballata del mare salato, da quale regno escano i vivi e da quale i morti non è mai del tutto chiaro».
Nicola Lagioia, «Robinson – la Repubblica»
«Non è un romanzo, non è un saggio, è una storia che contiene noi stessi. Custodisce gli esseri umani per come vengono al mondo: c’è chi cura, chi è curato, chi rimane nel mezzo, chi lega e chi è legato. Leggerlo è come salire su una zattera e avere il coraggio di oltrepassare le colonne d’Ercole per vedere come siamo fatti, laddove ci consideriamo inesplorabili. Paolo Milone ce lo permette e lo fa con un mosaico emotivo che respira di verità dalla prima all’ultima pagina. Alla fine della lettura era commozione. Era spavento, stupore, fastidio, tenerezza. Era compassione. Alla fine della lettura, ho vissuto. È questo, per me L’arte di legare le persone è questo. Un’anatomia della vita».
Marco Missiroli
«Milone, con gli occhi di un protagonista di finzione ispirato a se stesso, racconta la routine del Reparto di psichiatria d'urgenza in un ospedale genovese e ci fa conoscere Lucrezia che ha 20 anni e si taglia con le lamette e Carmelo, che farebbe di tutto per comprarsi la dose. Il risultato è un libro delicato e sincero che sta riscuotendo consensi online con il passaparola, "parlando delle nevrosi senza scivolare nel politicamente corretto"».
Francesco Musolino, «Il Messaggero»
“Con una scrittura che ha il passo della poesia, la stoffa del coraggio e l'intensità del mettersi a nudo, Milone ci porta per mano nel suo reparto, tra urla perforanti e silenzi assordanti, scalpiccii notturni, sedie spostate, la macchinetta del caffè che gorgoglia nella stanza infermieri, fruscio di lenzuola. […] Se ne esce col cuore felicemente crepato perché ogni istantanea è struggente umanità e salvifica lucidità, pugno e carezza, ferita e sutura, vita e morte insieme».
Carlotta Vissani, «il Fatto Quotidiano»