Giulio Einaudi editore
Donatella Di Pietrantonio

Dopo L’Arminuta, romanzo vincitore del Premio Campiello 2017, e Borgo Sud, finalista allo Strega 2021, Donatella Di Pietrantonio torna nelle librerie con L’età fragile.

All'origine di questo nuovo lavoro c'è un episodio di cronaca che risale agli anni Novanta nel cuore dell'Abruzzo appenninico, quando l'orrore si era insinuato in un luogo fino ad allora immacolato.

Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento... vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c’è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile.

Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un’occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.

L’età fragile sta appassionando lettori e critica. Di seguito alcuni estratti dell’eccezionale rassegna stampa:

«Donatella Di Pietrantonio affronta questa storia usando risorse sempre più rare – per questo urgenti – nel racconto contemporaneo: pudore, delicatezza, rispetto per i sentimenti dei personaggi, capacità di ascolto. È il modo attraverso cui il lettore può accostarsi a una dimensione che altrimenti non si rivelerebbe, e percepire un rumore di fondo rispetto a cui di norma siamo sordi – il dolore delle persone normali, così prezioso, di cui nessuno sa nulla».
Nicola Lagioia, «tuttolibri – La Stampa»

«Di Pietrantonio torna con slancio e profondità nei luoghi anche interiori del rapporto aspro tra persone e luoghi […] Leggete questo romanzo intenso e preciso, in cui i piani temporali si intrecciano e cambiano lo sguardo, e in cui le donne lottano contro una forza brutale e antica (“uomo nei campi, femmina in casa”). Eccole tutte insieme: il passato oscuro del mondo, ma anche il presente, sempre meno fragile».
Annalena Benini, «Il Foglio»

«La scrittrice rielabora narrativamente un vecchio episodio di cronaca realmente accaduto sulla Maiella che negli anni Novanta sconvolse l'Abruzzo e l'Italia e lo fa con una prosa che avvince, pagine che si leggono in apnea, una sintassi asciutta e pulsante. Entriamo nel bosco alla ricerca dell'assassino, le torce illuminano il costone della montagna, si sentono spari, piccole fette di cielo stellato tra le chiome, in basso solo nero. Lucia partecipa alle ricerche infreddolita e impaurita […] Il bosco — la faggeta del Dente del Lupo — è l'altro personaggio di questo romanzo, che è insieme saga generazionale e favola nera».
Raffaella De Santis, «la Repubblica»

«Dietro queste fragilità si impone il grande personaggio di una natura raccontata senza retorica, nella sua durezza quotidiana di chi la deve “lavorare come uno schiavo”. […] Perché, montagna o città, ricorda il giudice Grimaldi, “dove arriva l'uomo, può portare il male”».
Ermanno Paccagnini, «la Lettura – Corriere della Sera»

«Usa la parola come il trapano da odontoiatra, la sua prima (o seconda?) professione insieme con quella della scrittura; con precisione chirurgica batte là dove il dente duole, di solito le relazioni umane o l'angustia di una terra che sembra fatta apposta, anche orograficamente, per bloccare progetti e sogni».
Sara Ricotta Voza, «tuttolibri – La Stampa»

«Nell'ultimo romanzo Donatella Di Pietrantonio ancora una volta riesce in modo estremamente convincente a scavare nelle anime fragili che il tempo spesso non fortifica»
Brunella Schisa, «il venerdì – la Repubblica»

«Al nuovo romanzo Donatella Di Pietrantonio ha dato la tensione di un thriller che si muove tra l'Abruzzo, terra della scrittrice Premio Campiello nel 2017 per L'Arminuta, fintamente accogliente con la sua natura, e una Milano miraggio di libertà non mantenuta».
Francesco Mannoni, «Il Mattino»

«Il romanzo nasce da un ricordo che riguarda la sua terra, l'Abruzzo, e che ha covato a lungo come un fuoco sotto la cenere. Un tragico fatto di cronaca avvenuto tanti anni fa due ragazze uccise sulla montagna dopo una violenza sessuale, una terza ferita che diventa la scintilla per parlare di fragilità, di quanto noi esseri umani siamo precari».
Isabella Fava, «Donna Moderna»

Beatrice Salvioni

La Malnata è il primo romanzo di Beatrice Salvioni, già vincitrice nel 2021 del Premio Calvino racconti. È la storia di due ragazzine molto diverse tra loro e di un’amicizia indimenticabile nell'Italia del fascismo.

Il libro è diventato fin da subito un caso letterario e ha incantato gli editori di tutto il mondo: l’edizione italiana è uscita in concomitanza a quella francese, spagnola, bulgara, olandese, slovacca, romena e svedese. Attualmente è tradotto, o in corso di traduzione, in più di 30 lingue e arriverà anche negli Stati Uniti e in Germania.

Monza, marzo 1936: sulla riva del Lambro, due ragazzine cercano di nascondere il cadavere di un uomo che ha appuntata sulla camicia una spilla con il fascio e il tricolore. Sono sconvolte e semisvestite. È Francesca a raccontare in prima persona la storia che le ha condotte fino a lì. Dodicenne perbene di famiglia borghese, ogni giorno spia dal ponte una ragazza che gioca assieme ai maschi nel fiume, con i piedi nudi e la gonna sollevata, le gambe graffiate e sporche di fango. Sogna di diventare sua amica, nonostante tutti in città la considerino una che scaglia maledizioni, e la disprezzino chiamandola Malnata. Ma quella sua aria decisa, l’aria di una che non ha paura di niente, la affascina. Sarà il furto delle ciliegie, la sua prima bugia, a farle diventare amiche. Sullo sfondo della guerra di Abissinia, del dolore per la perdita e degli scompigli dell’adolescenza, Francesca impara con lei a denunciare la sopraffazione e l’abuso di potere, soprattutto quello maschile, nonostante la riprovazione della comunità.

La Malnata è un coinvolgente romanzo di formazione che sta conquistando anche il pubblico italiano e la critica:

«La protagonista “nata male”, che vediamo muoversi anzi scatenarsi nel racconto, è una minuscola incarnazione dell’inferno. Una di quelle scomode presenze che nel Medioevo verrebbero piazzate sul rogo […] Maddalena è un personaggio solido e caldo, che emerge dalle pagine con un respiro quasi percepibile in maniera concreta».
Leonetta Bentivoglio, «la Repubblica»

«La Malnata è, come L'amica geniale, un Bildungsroman e un inno all'amicizia e al suo potere dirompente».
Valentina Berengo, «Il Foglio»

«La Malnata, questo romanzo potente, crudele, scritto con una maestria che ha del vertiginoso, ci racconta cose serissime, mostrandoci il mondo degli adulti attraverso gli occhi neri di una ragazzina, piccoli e duri come una pietra scagliata contro il nemico».
Cristina De Stefano, «Elle»

«Ha un incipit sconvolgente ed è una storia di formazione e di amicizia che non risparmia il dolore e non nasconde le debolezze, la paura di schierarsi dalla parte di chi crede di essere il prescelto e perciò nel giusto. Francesca tentenna tra la libertà e la conformità, tra i pregiudizi della società che l'accoglie ma che poi le volta le spalle quando decide di scegliere la strada che ritiene giusta: l'amicizia al fianco della Malnata».
Isabella Fava, «Donna Moderna»

«La giovane scrittrice costruisce con voce inedita e convincente una vicenda di formazione personale e civile, dà vita a un affresco di personaggi dai toni chiaroscuri e a un ben oliato congegno narrativo, connotato da una scrittura affilata e dall'efficacia dei dialoghi».
Marzia Fontana, «Corriere della Sera»

«Attraverso le due amiche l'autrice racconta un popolo succube, un'Italia percorsa da grandi ambizioni ma con modesti risultati e brucianti sfaceli».
Francesco Mannoni, «Il Mattino»

«La Malnata, opera prima di Beatrice Salvioni, è tanti romanzi insieme. È la storia di un'amicizia tra due bambine che stanno per diventare donne, anzi femmine; è il racconto di uno spaccato sociale e politico dell’Italia degli anni Trenta in cui la violenza è alimentata dall'ipocrisia, quella dei piccoli paesi in cui dicerie e pregiudizi sono fonti di informazione qualificate. Ma è soprattutto un’indagine condotta sulle apparenze. Un “reportage”, in narrativa, su un pezzo della nostra storia che andrebbe dimenticato e raccontato allo stesso tempo, per quanto fa male, per quanto è necessario».
Marco Onnembo, «Domenica – Il Sole 24 Ore»

«Un romanzo potente che comincia con uno stupro sul greto del fiume e racconta la difficoltà di essere donna in un mondo sessista, ma anche come un’amicizia aiuti a opporsi all’ingiustizia. L’autrice, diplomata alla scuola Holden, ha una potente vocazione al racconto e nel 2021 ha vinto il Premio Calvino».
Brunella Schisa, «il venerdì – la Repubblica»

«È una storia vicina, ambientata in un fatto lontano ma irrisolto, quindi sempre presente: il fascismo. Salvioni ha usato il fascismo per vedere meglio il presente».
Simonetta Sciandivasci, «La Stampa»

«Questo romanzo si fa voler bene e Maddalena entra nella testa della gente per non uscirne più, come dice uno dei personaggi».
Carlotta Vissani, «il Fatto Quotidiano»