Autore: admin_wp

La dimostrazione che si può avere un’esistenza avventurosa anche seduti su uno sgabello Giuseppe Culicchia, «la Repubblica»
Shaun Bythell a trentun anni e un mese diventa proprietario di una libreria dell'usato nel cuore di Wigtown, un paesino sulla costa scozzese. Non ha ancora letto il saggio Ricordi di libreria di Orwell, altrimenti avrebbe avuto un «salutare avvertimento» su ciò che lo attendeva.
Nel 2014 inizia a scrivere un diario in cui racconta il suo mondo e quello dei lettori, veri o finti, che entrano nel suo negozio, una sorta di grotta di Aladino frequentata da clienti abituali, che sanno quello che vogliono, e altri che si fingono interessati ma che in realtà non subiscono il fascino della lettura: alcuni sono cortesi, colti, altri scortesi, maleducati o stravaganti.
Il risultato di questi appunti è Una vita da libraio, un «delizioso diario di un mestiere che si può fare solo con amore e, nel suo caso, con una buona dose di humor inglese, anzi scozzese. La dimostrazione che si può avere un’esistenza avventurosa anche seduti su uno sgabello» (Enrico Franceschini, «il venerdì – la Repubblica»).
Shaun è un libraio che non intende mollare, «ma tre le righe non di rado spassosissime si percepisce la rabbia di un animale consapevole di appartenere a una specie in pericolo, visto che ad assottigliarsi è anche il numero di coloro che si ostinano a compare libri in libreria non solo per abitudine o perché incredibilmente non hanno ancora un computer, ma perché sanno che l’unico modo per garantire la sopravvivenza delle librerie è farle lavorare. Da ex collega, ringrazio Shaun Bythell per questo divertente cahier de doléances. Ne condivido la passione, l’amarezza e anche la rabbia» (Giuseppe Culicchia, «la Repubblica»).
Bythell vive circondato da libri, circa centomila volumi distribuiti in stanze che si rincorrono come un labirinto, zeppe di erudizione; esce per entrare nelle case di chi vuole liberarsene, a volte trova tesori, altre volumi apparentemente invendibili. I suoi sopralluoghi sono vere avventure, il senso di attesa che prova prima di varcare la soglia non ha paragoni; scopre testi ma anche persone, e il viaggio dentro quelle abitazioni raccontano tanto di chi le ha abitate.
Nonostante le difficoltà, per l’autore diventare libraio è stata la scelta migliore della sua vita, come ha ammesso a Enrico Franceschini per il venerdì – la Repubblica: «vendere libri è come fare il kamikaze: quando decidi, non c’è modo di tornare indietro».
***
È possibile fare un tour virtuale nella libreria grazie al video pubblicato dall’autore tramite il suo account Youtube.

«Omero ha una definizione per coloro che si sanno esprimere in modo tanto ammaliante: hanno parole alate. Mendelsohn ha parole alate».
«The Times»
«Un libro riuscito e coraggioso, che è la dimostrazione della validità del messaggio più imperituro dell'Odissea, ovvero che l'intelligenza vale poco se non si allea con l'amore».
«The Observer»
«Questo libro bellissimo è un inno alla filologia nell’accezione più vasta e commovente che le si può attribuire».
Alessandro Piperno, «La Lettura – Corriere della Sera»
***
Jay Mendelsohn è stato un padre duro, severo, avverso alla scelta del figlio Daniel di allontanarsi dallo studio delle scienze esatte. Eppure, a ottantun anni, si muove da Long Island, dove è sempre vissuto, per andare al Bard college ad ascoltare dalla voce del figlio la storia di Odisseo. Daniel è uno studioso di lettere classiche, filologo, docente di Letteratura al Bard College e autore di questo raffinato e struggente memoir, Un’Odissea.
Questo incontro, a semestre concluso, prosegue oltre le mura dell'aula, in un'improbabile crociera a tema sulla via di Itaca. Un viaggio sulle orme di Ulisse, padre,figlio e marito che vuole tornare a casa, che si snoda attraverso pagine colte e pregnanti di significati psicologici e morali, e si sviluppa in ampi cerchi che coinvolgono Telemaco e Laerte, Daniel e il suo vecchio padre. Viaggia Odisseo per tornare a Itaca, viaggia il figlio, alle soglie della virilità, in cerca di un padre che non conosce.
Mendelsohn dà «voce ad entusiasmanti dilemmi filologici e a questioni morali poste dal poema omerico in merito a eroismo, amore filiale, dissimulazione, fedeltà coniugale» (Alessandro Piperno, «La Lettura – Corriere della Sera»).
La lettura dell'Odissea prepara ad attendersi l'inatteso, Ulisse è l'uomo polytropos, «dalle molte svolte», che parte e ritorna; anche l'autore va avanti nella conoscenza dell'eroe e di sé, torna indietro rievocando il passato, conosce un padre diverso, non così lontano da lui. In questo nuovo libro si riafferma la convinzione dell'autore che il viaggio è sia allontanamento, scoperta, sofferenza e perdita delle certezze sia esperienza unica per conoscere se stessi e scoprire la propria identità.
Attraverso le pagine dell'epopea omerica e il viaggio nei luoghi toccati da Ulisse si costruiscono le storie di padri e figli, e «per capire quanto è prezioso e affascinante questo libro occorre immergersi nel cuore profondo dell’ispirazione di Mendelsohn, il motore che dà ritmo alla prosa» (Alessandro Piperno, «La Lettura – Corriere della Sera»).
A marzo Einaudi ha pubblicato anche Gli scomparsi, riproposto nei Tascabili in un nuova traduzione di Giuseppe Costigliola. È il libro che ha reso celebre l’autore anche in Italia, vincitore del National Book Critics Circle Award 2006 e del Prix Médicis 2007. Un viaggio, reale e letterario, alla ricerca di una famiglia, quella dello zio Shmiel, sterminata dai nazisti a Bolechow. È il tentativo di ricostruire la loro storia attraverso le testimonianze dei superstiti: «Epico e intimo, ricco di riflessioni ma anche di tensione, tragico e al tempo stesso ironico. Gli scomparsi è semplicemente un libro meraviglioso» (Jonathan Safran Foer).

«Una lettura eccitante e coinvolgente regalataci da una delle migliori scrittrici di thriller del momento».
«The Guardian»
«Tana French ispira nei suoi lettori una devozione quasi religiosa».
«The New Yorker»
***
L'intruso è il nuovo romanzo di Tana French, autrice nata negli Stati Uniti e cresciuta tra Irlanda, Italia e Malawi. È considerata dal Washington Post «la scrittrice di crime più interessante e più importante emersa negli ultimi dieci anni».
Il libro all'estero ha avuto uno straordinario successo: il Guardian lo ha definito «una lettura eccitante e coinvolgente», per l'Independent non lascia scampo. Come i suoi precedenti romanzi, è stato in cima alla classifiche internazionali, 2° sul New York Times, 3° sul Los Angeles Times e 1° sullo Spiegel.
A pochi giorni dall'uscita, anche in Italia la lettura de L'intruso sta suscitando grande entusiasmo da parte dei lettori, della critica e di autori del calibro di Massimo Carlotto, Maurizio de Giovanni e Carlo Lucarelli:
Nell'intervista rilasciata a Repubblica, Tana French sostiene «di aver imparato molto da scrittori come Agatha Christie e Patricia Highsmith ma di preferire altri che hanno rotto definitivamente i canoni, come Lehane o la Donna Tartt del Dio di illusioni: il grezzo mistero mescolato a letteratura purissima». Mistero che, sempre secondo l'autrice, «è la cosa più importante per l'uomo, perché scuote l'essenza stessa del'umanità, in ogni sua forma».
Per Giuliano Aluffi «si conferma maestra del tratteggio psicologico e nel realismo dei dialoghi, soprattutto quelli più tesi come gli interrogatori, abilità che le viene anche dal suo passato di attrice di teatro» («il venerdì - la Repubblica»).
Antoinette Conway è una giovane detective della squadra Omicidi di Dublino dove è entrata nel momento sbagliato e ed è partita con il piede sbagliato. Intelligente, preparata ma impulsiva, si sente giudicata dai colleghi uomini, non solo per il suo essere donna ma perché coinvolta nella lotta quotidiana per il potere nell'ambiente di lavoro. Ha imparato a non lasciarsi spingere giù e si difende da subito, a volte con rabbia, da chi la vuole emarginare dal branco: «Antoinette rappresenta la disumanizzazione, non solo fisica, ma mentale di tutte le minoranze» (Tana French, intervistata da Antonello Guerrera, «la Repubblica»).
È single e senza figli come il suo partner, Steve, un compagno giusto anche se un po' troppo casinista. Il caso in cui sono coinvolti, insieme all'odioso Breslin, sembra il classico crimine domestico, una lite fra innamorati: una giovane donna, Aislinn, che sembra una barbie, giace a terra, nella sua ordinatissima casa. Chi è l'assassino, un uomo freddo e calcolatore o un giovane innamorato travolto dalla rabbia? Il principe azzurro o un amante misterioso? Ci sono troppe interferenze, troppe ombre nella vicenda. E quando Conway inizia a indagare sul serio, quello che doveva essere un caso scontato prende una piega inattesa.
Una meraviglia, puro piacere, un poliziesco dal gran ritmo, ma pieno di sfumature... French pensa e architetta trame come pochi altri «Los Angeles Times»

Nello spazio di una pagina, Gay sa passare dalla leggerezza alla satira sociale, intessendo la propria vicenda di un'ironia straziante «The Guardian»
«Luminoso, dotato di uno straordinario rigore intellettuale e davvero commovente».
«The New York Times»
«Roxane Gay qui dentro dice cose che offendono tutti i canoni che ho sul femminile, io che i canoni lavoro ogni giorno per abbatterli. Mi ha messa davanti ai pregiudizi di cui sono portatrice, oltre che vittima. Mi ha costretta a ripensare con le sue parole molte delle cose che sapevo, ma che le mie parole non avevano saputo dire».
Michela Murgia
***
Fame è la storia di un corpo, dentro il quale una donna si è rinchiusa per anni, con tutti i suoi demoni. Uno stupro subito da giovanissima l'ha portata a desiderare di essere indesiderabile, indegna delle attenzioni degli uomini; il grasso è diventato una fortezza impermeabile, una gabbia dalla quale dopo tanti anni cerca di uscire. La donna in questione è Roxane Gay, autrice di questo memoir e fra le più importanti femministe americane.
Il libro negli Stati Uniti è diventato un caso editoriale che ha ribaltato molti stereotipi sul corpo femminile, sulla violenza di genere e sulla ricerca di sé, entrando persino nei bestseller. Per il San Francisco Chronicle è «un libro indimenticabile. Si potrebbe pensare che quella di Gay sia una sconfitta, visto che non è riuscita a perdere i chili di troppo e a conformarsi al modello dominante, ma il suo passaggio dalla vergogna all’amore di sé è la vittoria più importante di tutte».
Roxane Gay sceglie di raccontarsi perché non può più tacere, non può più far finta che nella sua vita non sia successo niente. Il cibo le ha permesso di costruire il guscio per seppellirvi la ragazza che era e che ora cerca di riportare alla luce. Il racconto, impietoso, sincero, è una sfida a guardarsi senza giudicare, un tentativo coraggioso di spiegare come si può arrivare ad essere «patologicamente obesa» in un tempo in cui il corpo della donna deve offrirsi sempre giovane, perfetto, seducente.
In un appassionato commento al libro, Michela Murgia sostiene che l’autrice «in apparenza ti parla del suo corpo ferito, ma sta parlando di una società che nel corpo si rappresenta e che contro i “corpi ribelli” è violenta e giudicante, intimorita dalla diversità. Parla della sua anima compromessa, ma rivela anche il dente cariato nascosto nel sorriso di un Occidente in cui persino all'anima è richiesta una forma perfetta […] Roxane Gay ha rotto il patto del silenzio e si è presa la responsabilità di raccontare l'incubo americano in un mondo che dell'America vuole solo il sogno».
Troppi segreti, per troppi anni, con se stessa e con gli altri, «scrivere è stato terapeutico anche se non era il motivo per cui l’ho fatto. Mi ha permesso di guardare oggettivamente indietro e avere più rispetto per la mia storia» (Roxane Gay intervistata da Anna Lombardi, «Robinson - la Repubblica»).
Fame, in America, ha anticipato di pochi mesi il movimento #metoo: «Non so se ho aperto la strada, ma spero di aver dato un contributo significativo. Il movimento #metoo è eccellente: quello in atto è un cambiamento reale, anche se per ora abbiamo solo scalfito la superficie» (Roxane Gay, «Robinson - la Repubblica»).

«L’autore entra nello stato d’animo dei personaggi non svelandolo direttamente, ma descrivendo i gesti del corpo, le reazioni fisiche. E in questo mostra di mettere a frutto le sue qualità migliori: di osservatore e narratore».
Alessia Rastelli, «Corriere della Sera»
***
Roma, giugno 1625. La giovane Leonora Baroni, con una lanterna tesa in avanti, avanza nei cunicoli delle catacombe di Domitilla, seguita da uno spasimante. Non ha paura del buio o di turbare la quiete dei defunti. La luce del lume, però, illumina un cadavere e, vicino al corpo, una donna completamente nuda con la faccia di capra. Inizia così Il monastero delle ombre perdute, il nuovo romanzo del maestro italiano del thriller storico Marcello Simoni, ambientato in un secolo dove superstizioni, enigmi, oscurantismo si intrecciano alla lotta contro il potere della Chiesa, dell'Inquisizione e dell'Indice.
Ad indagare su questo mistero è l'inquisitore fra' Girolamo Svampa, già protagonista de Il marchio dell'inquisitore, richiamato da padre Francesco Capiferro, segretario della Congregazione dell'Indice, dal suo esilio in Toscana.
«Capitoli brevi, numerosi protagonisti e colpi di scena, rigorosa documentazione storica, caratterizzano, come i precedenti, questo libro di Simoni, la cui scrittura si fa qui più ricercata. Quasi sempre l'autore entra nello stato d'animo dei personaggi non svelandolo direttamente, ma descrivendo i gesti del corpo, le reazioni fisiche. E in questo mostra di mettere a frutto le sue qualità migliori: di osservatore e narratore». Fra catacombe, idoli dall'aspetto sconvolgente, donne bellissime e dalle parentele ingombranti, in un Seicento quanto mai gotico, è «abile anche il coinvolgimento nell'intreccio fittizio di personaggi storici, che consente di assaporare la trama su più livelli di lettura e rimandi ad altro» (Alessia Rastelli, «Corriere della Sera», link).
Lo Svampa è abituato a cercare prove oggettive nella sua caccia al Maligno e il suo metodo non si basa sulle superstizioni diffuse tra il popolo e le alte sfere del clero. Lo stesso autore del romanzo, nell'intervista per RepTv, sottolinea l'importanza di questo aspetto: «Avevo bisogno di una prova, un indizio tangibile, del fatto che l'omicidio della vittima fosse dovuto al Maligno. Perciò lo Svampa si imbatte in quello che allora veniva definito il punctum diabolicum: secondo le credenze dell'epoca era il punto del corpo in cui il diavolo toccava l'essere umano, rendendolo suo servo o uccidendolo. Il punctum, in realtà, nel romanzo viene provocato in altro modo, in un modo molto ingegnoso che ho dovuto studiare, ho dovuto inventare, per giustificare un qualcosa che sembra sovrannaturale ma in realtà non lo è».