Giulio Einaudi editore
Philip Roth

Philip Roth ha vinto il Premio Pulitzer nel 1997 per Pastorale americana. Nel 1998 ha ricevuto la National Medal of Arts alla Casa Bianca, e nel 2002 il piú alto riconoscimento dell'American Academy of Arts and Letters, la Gold Medal per la narrativa. Ha vinto due volte il National Book Award e il National Book Critics Circle Award, e tre volte il PEN/Faulkner Award. Nel 2005 Il complotto contro l'America ha ricevuto il premio della Society of American Historians per «il miglior romanzo storico di tematica americana nel periodo 2003-2004». Recentemente Roth ha ricevuto i due piú prestigiosi PEN Award: nel 2006 il PEN/Nabokov Award e nel 2007 il PEN/Saul Bellow Award for Achievement in American Fiction.

Roth è stato l'unico scrittore americano la cui opera sia stata pubblicata in forma completa e definitiva dalla Library of America mentre era in vita.

Nel 2011 ha ricevuto la National Humanities Medal alla Casa Bianca, ed è poi stato dichiarato vincitore della quarta edizione del Man Booker International Prize.

Tutte le opere di Philip Roth sono presenti nel catalogo Einaudi: Pastorale americana (1998), Operazione Shylock (1998), Il teatro di Sabbath (1999), Ho sposato un comunista (2000), Lamento di Portnoy (2000),La macchia umana (2001), L'animale morente (2002), Lo scrittore fantasma (2002), Chiacchiere di bottega (2004), Zuckerman scatenato (2004), Il complotto contro l'America (2005), Il seno (2005), L'inganno (2006), La lezione di anatomia (2006), L'orgia di Praga (2006), Everyman (2007), Patrimonio(2007), Il fantasma esce di scena (2008), Il professore di desiderio (2009), Indignazione (2009), L'umiliazione (2010), La controvita (2010), Nemesi (2011), «Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno» ovvero, guardando Kafka (2011), La mia vita di uomo (2011), Goodbye, Columbus (2012),Quando lei era buona (2012), I fatti (2013), La nostra gang (2014), Il Grande Romanzo Americano (2014) e Lasciar andare (2016).

Nei prossimi mesi uscirà nelle Frontiere Einaudi l'edizione definitiva dei suoi saggi con il titolo Perché scrivere? Saggi 1960-2013, nella traduzione di Norman Gobetti.

Una raccolta di interventi che dialogano incessantemente con l'opera narrativa di Roth e al tempo stesso ci rivelano le sue tante passioni e l'acutezza del suo sguardo sul presente.

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François Bégaudeau

Da questo romanzo, il nuovo film di Abdellatif Kechiche, il regista dello straordinario La vita di Adèle - nelle sale italiane dal 24 maggio.

La ferita, quella vera è il nuovo romanzo di François Bégaudeau. È la storia dei tormenti di un adolescente in bilico sulla vertigine del desiderio ed ha ispirato Mektoub My Love: Canto uno, il nuovo film di Abdellatif Kechiche, il regista vincitore della Palma d'Oro a Cannes con lo splendido La vita di Adele. La trasposizione cinematografica, presentata allo scorso Festival di Venezia, e distribuita da Vision Distribution nelle sale italiane a partire dal 24 maggio, è stata definita «un inno alla libertà» da Repubblica e «un capolavoro» da Express.

In La ferita, quella vera François, stanco di eludere e di imbrogliare se stesso, decide di raccontare, di risalire alla sua ferita, di ritornare all'estate dell'86. È in vacanza nella casa famigliare, in un paesino della provincia francese; lui è il «nantese» che torna ogni anno, il villeggiante che, come tutti gli altri, arriva d'estate ad animare una vita altrimenti monotona.

François ha quindici anni, la voce si sta trasformando, ha qualche brufolo e uno strato di peluria sotto il naso; è comunista dall'83, dall'85 comunista con tendenza leninista. Ha l'urgente bisogno di perdere la verginità. Sente che il tempo passa ma che è complicato iniziare, ha baciato qualche ragazza ma deve passare di livello. Con lui c'è Joe, l'amico che non studia, fuma e abborda le villeggianti con fare sicuro, monopolizzando le migliori. François aspetta con la vertigine del desiderio, sa che nella vita ci sono le incognite e, infatti, arriva Julie, l'incontro che cambia la sua estate.

Bégaudeau ha saputo descrivere le «le gioie fragili e febbrili dei ragazzi, la litania della loro insofferenza e dei loro desideri, raccontati in modo assolutamente perfetto» («Le Monde»).

Il trailer di Mektoub My Love: Canto uno
Matteo Bussola

Bussola sa scrivere. Usa le parole con accortezza, con cura, come se fossero importanti. Tanto importanti quanto le esperienze che raccontano Michele Serra

 

Dopo il successo di Notti in bianco, baci a colazione, «una bomba atomica […] all'improvviso tutti mi conoscevano come scrittore e quasi più nessuno sapeva che disegnavo», Matteo Bussola, scrittore e fumettista, torna nelle librerie con un libro sull'amore di coppia. Vissuto, immaginato, sperato, fallito.

La vita fino a te è un libro intimo in cui Bussola sceglie di illuminare con le parole ciò che per lui ha senso, l'amore ma anche il dolore e la bellezza, la tenerezza e il rimpianto di ciò che si è perso. Racconta con efficacia emotiva tutti i sentimenti che spesso rimangono nascosti negli angoli ma che continuano ad attirarlo come un'esca: «Affronto un tema che mi sta a cuore: le relazioni con l'altro. Per me l'amore è una forma di sguardo sull'altro. Uno sguardo che ho imparato a caro prezzo perché ho un passato di tragedie sentimentali alle spalle, alcune dovute a me, altre no. A un certo punto ho capito che tutto il dolore che provavo, al punto di pensare di essere io il vero problema, non derivava mai dall'amore ma dalla necessità di avere una persona accanto, proprio nel modo in cui la volevo io. Il dolore nasce sempre da questo, dalla necessità di avere dall'amore qualcosa in cambio» (Matteo Bussola intervistato da Alessia Arcolaci, «Vanity Fair», link).

L'autore non ha paura di mettere a nudo le sue emozioni, di guardarsi allo specchio. Osserva e disegna biografie possibili, incontri e separazioni, strade percorse insieme o abbandonate perché il passo era diverso e alla fine non ci si riconosce più. «Questo è un libro sul quale, per la prima volta, ho fatto anche un lavoro di invenzione. Anche per tutelare alcune persone, perché tutti i racconti del libro partono da esperienze autentiche, ma mi sono accorto che non mi interessava mantenere la fedeltà al dato biografico. Mi interessava mantenere la verità delle cose che volevo raccontare» (Matteo Bussola a Rep.tv, link).

Scorrendo le pagine, dunque, si incontrano non solo l'autore ma tanti personaggi con le loro brevi e illuminanti storie: ogni incontro è una sfida a camminare per un momento insieme, a usare il ponte per raggiungere l'altro: «Tutte le cose migliori della mia vita sono arrivate mentre non le stavo cercando. Compresa la mia compagna attuale, Paola» (Matteo Bussola a Rep.tv, link), a cui La vita fino a te è dedicato.

Paolo Giordano

 

«Accade subito, senza lasciare scampo: in quella prima scena in cui molto, in fondo, è già prefigurato. Tre ragazzi che si immergono nudi, di notte, in una piscina; lo sguardo di una ragazza che dall’alto li scopre, li studia in silenzio, ne accompagna la fuga. È qui, in quella trasgressione insieme innocua e premonitrice, che inizia l’innamoramento per il nuovo romanzo di Paolo Giordano, Divorare il cielo».
Davide Casati, «Corriere della Sera»

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A dieci anni di distanza da La solitudine dei numeri primi, Paolo Giordano torna a raccontare la giovinezza, poi l'azzardo di diventare adulti. Divorare il cielo è la storia di Teresa e del suo incontro con «quelli della masseria», Nicola, Tommaso e Bern, soprattutto Bern.

«Accade subito, senza lasciare scampo: in quella prima scena in cui molto, in fondo, è già prefigurato. Tre ragazzi che si immergono nudi, di notte, in una piscina; lo sguardo di una ragazza che dall'alto li scopre, li studia in silenzio, ne accompagna la fuga. È qui, in quella trasgressione insieme innocua e premonitrice, che inizia l'innamoramento per il nuovo romanzo di Paolo Giordano, Divorare il cielo» (Davide Casati, «Corriere della Sera», link).

I tre ragazzi, tre fratelli non di sangue, vivono in una masseria pugliese, centro gravitazionale del romanzo, aspettando di crescere; li guida Cesare, tra preghiere, lavoro della terra e riflessioni sulla vita. Sono giovani con esperienze famigliari difficili, alla ricerca di un padre, una guida autorevole, e quest'uomo sembra esserlo.

Teresa, giovanissima, va in vacanza con il padre pugliese proprio a Speziale, vicino a quella masseria che la attrae come un magnete; in quell'assolata campagna vive l'esperienza di un amore totale, di un'amicizia il cui ricordo l'accompagnerà per la vita. Si innamora di Bern, il più inquieto, un ragazzo che vuole disperatamente credere in qualcosa, affamato di esperienze, che vuole divorare la vita, il cielo; il suo corpo non sembra mai nutrito a sufficienza di esperienze, assetato di tutto ciò che la vita sembra volergli negare. «È una fame pericolosa: vuoi divorare il non divorabile. Dopo che ci hai provato sei ancora più affamato di prima. Bern, il protagonista di questa storia, è il grande divoratore. Gli altri intorno - Teresa, Tommaso, Nicola - si nutrono dei suoi slanci. Li scambiano per vitalità, e invece sono qualcosa di molto più complesso» (Paolo Giordano intervistato da Silvia Nucini, «Vanity Fair»).

Il rapporto, difficile e doloroso, fra i ragazzi si sviluppa nell'arco di vent'anni, è un cammino di formazione intessuto di sogni, delusioni, passione che rivivrà nei ricordi di Teresa, anche quando molti dei suoi amici non ci saranno più.

«Ho trovato l'operazione letteraria di Giordano molto coraggiosa. Da equilibrista, quasi: ha affrontato il tema del rifondare un mondo dentro una dinamica comunitaria e il tema ecologista senza mettere in ridicolo chi lo pratica oggi in modo quasi mistico: penso ai melariani, ai seguaci di Osho, ai davidiani. Giordano smonta l'illusione di essere veramente diversi. Da un lato dà l'impressione che l'unica strada per la libertà sia fuggire dalla responsabilità, dall'altro affida a questo gruppo di persone il compito di fondare una nuova forma di responsabilità: un nuovo rapporto con la natura, coi sessi, di fratellanza» (Roberto Saviano, «L'Espresso»).

Negli anni in cui Teresa perde, ritrova, ripercorre il suo rapporto con Bern e i suoi fratelli si sente il disperato bisogno di credere in qualcosa, cercando di non morirne o esserne sopraffatti. Un'utopia? «Non lo so, ma ne ho sempre avuto molta nostalgia. La nostalgia di una fede, di una forza superiore che muove le azioni e le orienta. Una specie di nostalgia di quello che manca, che ci manca. Il senso di perdita di qualcosa che non abbiamo avuto» (Paolo Giordano intervistato da Concita De Gregorio, «la Repubblica»).

Fortunato Cerlino

In molti conoscono Fortunato Cerlino come Don Pietro Savastano, il boss della fortunatissima serie Gomorra. Con Se vuoi vivere felice, il suo romanzo d'esordio, è invece nato uno scrittore.

L'autore racconta la storia di un ragazzino, il cui nome è proprio Fortunato, cresciuto in mezzo alle strade di Pianura, quartiere della periferia di Napoli, nei primi anni '80. Gli inseguimenti sul Califfone, le sparatorie in pieno giorno, le condizioni economiche in cui naviga la sua famiglia, non riescono a spegnere la vitalità del protagonista che, grazie alla sua immaginazione e ai suoi sogni, non si arrende e va avanti. È «la storia bella e intensa di un bambino salvato dalla fantasia e dalla voglia testarda di sfuggire a un destino segnato, un racconto di formazione che ha gli accenti della verità e lo stile del narratore di razza» (Titta Fiore, «Il Mattino»).

Questo racconto ci lascia cicatrici, com’è giusto: e la consapevolezza di aver trovato uno scrittore vero nelle pieghe e nelle piaghe di un grande attore Maurizio de Giovanni, «La Lettura – Corriere della Sera»

Fortunato è costretto a vivere una vita «parallela»: la sua infanzia a Pianura è scandita dai morti per strada, da lunghi silenzi in famiglia, dal Canale 21, rete locale che imita i programmi della Rai; ma, al di fuori di questa difficile realtà, sogna di diventare un cantante neomelodico, un astronauta e, prendendo a calci un Supersantos, di vincere dieci scudetti e la Coppa dei Campioni con il Napoli.
Il nome del piccolo protagonista, l'ambientazione del romanzo e l'uso del dialetto napoletano sono elementi che indicano una forte relazione fra il bambino e l'autore anche se è proprio quest'ultimo a specificare che «non è un'autobiografia, però in questa storia tutti gli elementi sono autentici […] Il dialetto ha il sapore della verità, era necessario» (Intervistato da Titta Fiore, «Il Mattino»).

Se vuoi vivere felice «viaggia sicuro e limpido, sospeso tra un realismo diretto e sincero, nobilitato dall'uso di un dialetto autentico, e l'onirica sensazione soggettiva del Fortunato adulto, attore realizzato e prossimo padre felice, che osserva dolente il proprio passato. Che si riconosce come un'esplosione rivista all'incontrario, i frammenti e le schegge che tornano indietro uno e uno per ricomporre un quadro perduto ma mai dimenticato» (Maurizio de Giovanni «La Lettura - Corriere della Sera»).

Fortunato Cerlino ha scritto un romanzo unico, vivissimo, scintillante di intelligenza creativa; il bambino ricorda «l'Arturo di Aspetta primavera, Bandini di John Fante, che è come lui spettatore della durezza di un mondo in cui con la sua famiglia è costretto a una parte secondaria e residuale, e tuttavia è capace di sognare, di inventare, di trasfigurare quella realtà» (Francesco Durante, «Il Mattino»).

Marco Balzano

«Questa storia che si estende dagli anni Venti ai Cinquanta narra l’indecisione tra l’andare e il restare, con il carico di perdite e di eventuali guadagni che comportano l’una e l’altra scelta. Ma soprattutto racconta il dolore dello strappo quando questo è inevitabile e non si sa con chi prendersela. Per questo Balzano, puntando su un fu-paese, ha scritto una storia di sperdimento e di provvisorietà ben radicata nell’oggi. La letteratura resta qui, come il campanile di Curon».
Paolo Di Stefano, «La Lettura – Corriere della Sera»

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Un campanile che emerge appuntito dall’acqua, tanto affascinante e surreale da sembrare un fotomontaggio. Invece è ciò che rimane di Curon, paesino del Sudtirolo al confine fra Austria e Svizzera, sommerso nel 1950 per la costruzione di una diga.

Marco Balzano, scrittore e insegnante milanese, Premio Campiello nel 2015, è partito proprio da questa immagine per il suo nuovo romanzo, Resto qui: «Non credo nei colpi di fulmine. Credo che le cose vadano metabolizzate, ma qua è successa una cosa diversa. Questo campanile che spunta dallo specchio del lago, mi è venuto incontro, mi è sembrato davvero una storia» (Marco Balzano, ospite a «Fahrenheit»).

La storia è affidata alla voce di Trina, una donna caparbia, legata alla sua terra, al suo paese. Odia piangere, è abituata a lottare e lo fa tutta la vita. Quando i fascisti arrivano in quella valle, dove si sente solo l'eco della Storia, la vogliono italianizzare, occupano scuole e municipi, vietano la lingua tedesca, cambiano i nomi alle vie. Vogliono sradicare radici di secoli.

Sarà forse per questo tema resistenziale o per lo stile asciutto, senza un aggettivo in eccesso, che il libro ricorda le migliori prove della narrativa neorealistica italiana Andrea Kerbaker, «Tuttolibri – La Stampa»

Trina vuole fare la maestra, vuole insegnare ai bambini a leggere e scrivere in tedesco, è disposta ad «andare nelle catacombe», le scuole clandestine, rischiando l'arresto, la deportazione. Nonostante tutto resta lì, con suo marito Erich e i suoi due figli perché i fascisti non devono vincere, perché non si abbandonano le montagne, i masi e le strade, anche se cambiano nome.

Resta lì nel '31 quando Hitler dà ai sudtirolesi la possibilità di entrare nel Reich e il paese si divide tra chi vuole andare via e i restanti. Resta lì anche se l'adorata figlia scompare al seguito degli zii verso la Germania, procurandole una ferita non rimarginabile: è a lei che Trina scrive e racconta la storia del suo paese che non c'è più. Resta lì quando Erich sceglie di non tornare in guerra: «Le pagine del disertore in fuga, che prende per mano la moglie e con lei sale la montagna per cercare di raggiungere il confine svizzero, sono le più forti del romanzo» (Paolo Di Stefano, «La Lettura – Corriere della Sera»).

Balzano ha dato vita ad «un romanzo che ha il pregio di crescere di capitolo in capitolo. Come succede con i narratori di talento. Benché ambientata in altra epoca, la storia parla dei grandi tempi di oggi. Le frontiere, il migrare, i dissidi etnici, i soprusi del potere sulla gente comune, le pulsioni autoritarie. Il tutto in un lembo troppo spesso dimenticato del nostro estremo nord, stavolta specchio non solo dell’Italia ma dell’Europa delle scelte difficili» (Gigi Riva, «L’Espresso»).

Diego De Silva

Il nuovo libro di Diego De Silva, Superficie, è un viaggio spiazzante, comico e irriverente nella banale quotidianità del nostro vivere. L'autore sorprende il lettore intessendo una baraonda di frasi fatte per divertire e provocare, mette in scena con ironia il teatrino della modernità nel quale le chiacchiere vengono spesso scambiate per riflessioni originali e acute. Svela il lato tragicamente comico del nostro parlare, nei bar, in famiglia, tra amici e colleghi.

Per Francesco Durante, che ha recensito il libro per «Il Mattino», «la sfida di un libro interamente costruito con frasi fatte prese dallo stupidario universale è stata vinta perché il risultato è esilarante, ma anche perché il libro non è solo un esercizio di stile alla maniera di Queneau, e dà l'idea di essere sempre sul punto di sfondare il limite che si è imposto e attingere una forma più precisamente narrativa».

Anche il lettore più scaltro si ritroverà in quelle frasi, che hanno il pregio di farlo sentire parte del gruppo: «Ormai l'unica voce di sinistra è quella di Papa Francesco», «adesso tutti vogliono fare Macron», «io leggo un po' di tutto», «Napoli non è solo camorra»…

Superficie è sì un lavoro di raffinato montaggio, ma in qualche modo anche il referto, piuttosto agghiacciante, di uno stare al mondo che sentiamo nostro nella sua abissale superficialità Francesco Durante, «Il Mattino»

L'autore prende i luoghi comuni, li smonta, li rovescia o li accosta a una battuta, a un aforisma. È un gioco, sì, ma è anche una sarabanda dell'intelletto in cui le voci, le nostre voci, compongono un quadro divertente della banalità dei nostri giorni, senza mediazioni né riflessioni che appesantiscono la lettura.

Giancarlo De Cataldo

L’agente del caos è un libro tutto da gustare, tangente al noir, ma che vola più alto Massimo Vincenzi, «La Stampa»

Uno scrittore romano, dopo la pubblicazione di un romanzo ispirato alla vita di Jay Dark, un agente americano il cui compito è spacciare droga nei movimenti giovanili per allontanarli dalla rivoluzione, viene contattato da un avvocato californiano di nome Flint: la vera storia di Jay è molto diversa e lui può raccontarla, lui c'era.

Jay è un personaggio doloroso, affascinante, che dopo un periodo di reclusione al Bellevue Hospital, viene reclutato e indottrinato alla legge del Caos dallo scienziato Kirk, «sia un diavolo che un sognatore: da un lato è uno scienziato puro, uno che vuole sperimentare i limiti dell'essere umano, dall'altro lato è veramente un personaggio diabolico» (Giancarlo De Cataldo, «la Repubblica»).

L'agente del caos, l'ultima fatica di Giancarlo De Cataldo, ruota proprio intorno alla figura di Dark, ispirata ad un personaggio realmente esistito, come spiega lo stesso autore nella video intervista rilasciata a Repubblica: «Era un agente segreto doppio, forse triplo, un signore che parlava undici lingue, che è stato il più grandi trafficante di Lsd nel mondo negli anni '60 e '70 e che realmente è stato in Italia, è stato arrestato, è andato in carcere. È diventato amico delle Brigate Rosse, ma anche confidente dei Carabinieri. Ad un certo punto è stato scarcerato ed è scomparso nel nulla. Si chiamava Ronald Stark».

L'esistenza di Jay Dark è caratterizzata da luci e ombre; il lettore rimane affascinato da questo personaggio la cui vita è difficile da ricostruire. Per Massimo Vincenzi, L'agente del caos «è un libro tutto da gustare, tangente al noir, ma che vola più alto e si abbevera alla migliore tradizione della letteratura americana (American Tabloid), senza perdere le radici italiane, si spinge oltre la banalità grazie a personaggi avvincenti e una trama dalla quale non si può sfuggire» («La Stampa»).

Ma qual è la verità su Jay Dark? Lo scrittore romano è ossessionato, vuole scoprire se tutto ciò che gli racconta l'avvocato Flint è finzione o realtà e dovrà decidere se continuare nelle sue verifiche o accettare la leggenda.

De Cataldo, autore dei bestseller Romanzo criminale e Suburra, ammette che L'agente del caos è un libro diverso dai precedenti: «È un racconto che è costato un lungo tempo di gestazione e aggiungo che 30 o 40 anni fa avrei scritto una cosa completamente differente: con i buoni da una parte e i cattivi dall'altra. Ora ho la convinzione che tutti sia più sfumato, più complicato» (Giancarlo De Cataldo intervistato da Massimo Vincenzi, «La Stampa»).

Cristina Comencini

Prima esistevano due coppie. Ora ci sono quattro adulti vivi, ricchi di rimpianti, momenti tristi e rughe allegre, sconcertati da tutta questa libertà. Cristina Comencini affida alle parole la burrasca del cuore in un passo a quattro intenso e profondo, la danza della seconda metà della vita.

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Da soli è il nuovo romanzo di Cristina Comencini, scrittrice, drammaturga e regista che, con la Bestia nel cuore, ha ottenuto la nomination all’Oscar. L’autrice racconta tutto quello che avviene quando un matrimonio entra in crisi: la collezione dei perché (o la febbre di cancellarli), lo slancio verso il futuro (o il culto del passato), la disillusione che spunta da tutte le parti, la certezza che niente cancellerà quella storia d’amore.

Andrea e Marta, Laura e Piero, giunti nella seconda metà della loro vita, si separano dopo trent'anni di convivenza: due matrimoni che sembravano costruzioni invincibili sono scossi da una crisi profonda, simmetrica e dolorosa. Devono fare i conti con i «milioni di pensieri pensati insieme», con i figli che devono accettare la fine dell'amore, con i ricordi delle vacanze, delle letture condivise, dei corpi che si amavano.

Comencini racconta con sensibilità la solitudine che viene dopo le separazioni, il vuoto e il silenzio delle case, una volta animate da tante voci e da una trafficata convivenza. Ora, le abitazioni sono eremi dove i protagonisti cercano nuove libertà ma combattono anche con i ricordi, i rimpianti, le domande sul perché della fine di un amore. «Da soli è il romanzo di chi porta due valigie, vuole dar conto, nel dolore della rottura, di due punti di vista, due reazioni, due linguaggi, due modi di reagire, due sensibilità […] Le due valigie spesso vengono confuse, l’uno distrattamente afferra quella dell’altra e viceversa» (Pierluigi Battista, «Corriere della Sera»).

I figli sono dispersi nel mondo mentre i genitori devono decidere se affrontare nuove convivenze, baluardo alla solitudine, o accettare di vivere in piena libertà, liberandosi anche dei ricordi. L’autrice vuole anche «parlare della precarietà di tutte le relazioni d’amore: mentre una volta, anche nelle tragedie e nei tradimenti, l’idea di una condivisione della vita era possibile, oggi siamo nel regno dell’individualismo assoluto» (Cristina Comencini intervistata da Laura Pezzino, «Vanity Fair»).

In ognuno di noi esistono zone nascoste che a volte diventano così grandi che rendono la conoscenza reciproca difficile e precaria e «il romanzo di Cristina Comencini ci dice che la sofferenza è di tutti, ma non lo è allo stesso modo per tutte e tutti, perché c’è una differenza irriducibile tra il modo in cui la sofferenza è rappresentata dagli uomini e un altro in cui è raffigurata dalle donne, anche se poi tutto si mescola, si sovrappone, oppure si confonde» (Pierluigi Battista, «Corriere della Sera»).

Sally Rooney

«Sally Rooney a soli ventidue anni ha scritto il caso letterario dell’anno. Parlarne tra amici è il romanzo sull'amore e il tradimento nel nostro tempo» .
«The New Yorker»

«Sally Rooney: ecco un nome da ricordarsi in questo inizio anno. Ha un dono naturale, e dirlo, per una volta, non è inutile affettazione. La consapevolezza del talento e la sua precocità, infatti, sono elementi fondanti del libro».
Paolo Giordano, «La Lettura – Corriere della Sera»

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Ci sono romanzi che nascono come casi editoriali, Parlane tra amici di Sally Rooney è fra questi.Vincitore al Best Young Writer 2017 del «Sunday Times» e in via di pubblicazione in venti paesi, il romanzo è stato subito accolto con grande entusiasmo.

Il «New Yorker» lo ha definito «il romanzo sull'amore e il tradimento nel nostro tempo», per il «Publishers Weekly» questo esordio  è «avvincente e penetrante. La Rooney offre una prospettiva impenitente sui capricci delle relazioni, e il suo occhio descrittivo conferisce bellezza e veridicità a questa storia complessa e vivida». Anche per il Premio Nobel Kazuo Ishiguro questo debutto «è un evento davvero significativo».

A pochi giorni dall’uscita italiana, Paolo Giordano ha dedicato a Parlarne tra amici un’appassionata recensione su La Lettura – Corriere della Sera: «Sally Rooney: ecco un nome da ricordarsi in questo inizio anno. Ha un dono naturale, e dirlo, per una volta, non è inutile affettazione. La consapevolezza del talento e la sua precocità - l’autrice ha poco più di vent’anni - infatti, sono elementi fondanti del libro».

Sally Rooney: ecco un nome da ricordarsi in questo inizio anno. Ha un dono naturale, e dirlo, per una volta, non è inutile affettazione Paolo Giordano, «La Lettura – Corriere della Sera»

Frances, io narrante e protagonista di questo romanzo, ha ventun anni e ha costruito un muro fatto di intelligenza, autocontrollo e freddezza per arginare il mare delle sue insicurezze. Affronta la vita sentendosi indefinita e confusa. La sua adolescenza è inquieta e solitaria, vissuta con il peso di una famiglia infelice alle spalle. Poi incontra Bobbi, che diventa sua amica, sua compagna di studi e suo primo amore.

Bobbi  sembra sempre la sua versione migliore. Più bella, più cool, più trasgressiva, più impegnata, più lesbica, più ricca. Ma una sera nella loro vita irrompono prima Melissa e poi il suo bellissimo marito Nick, una coppia borghese che affascina e coinvolge le due amiche portandole a scelte che le cambieranno profondamente.

Il romanzo, scritto con intelligenza e sensibilità, «è di seconda formazione, se può esistere una categoria del genere. Racchiude in sé tutta l'inconsapevolezza luminosa dei vent’anni, la confusione, il tedio, l'indecisione e al tempo stesso l'arroganza che hanno caratterizzato ognuno di noi a quell'età» (Paolo Giordano, «La Lettura – Corriere della Sera»).