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I cinque Tony Award che hanno premiato l’allestimento americano di Lehman Trilogy con la regia di Sam Mendes sono stati motivo di felicità e orgoglio per Stefano Massini e per tutto il teatro italiano, che non aveva mai ricevuto un riconoscimento simile oltreoceano.
Ma i Tony Awards sono arrivati a coronare a livello internazionale un testo teatrale che ha avuto in Italia e in Europa una lunga storia di memorabili messe in scena, di successi e di premi.
Scritto da Massini negli anni 2009-2012, la Lehman Trilogy viene messa in scena in Francia nel 2013 dalla Comédie de Saint-Etienne e dal Théatre du Rond-Point.
Segnalato da Gianandrea Piccioli, il testo arriva in Einaudi dove viene subito apprezzato e pubblicato nel 2014 nella “Collezione di teatro” con una prefazione di Luca Ronconi. Pochi mesi dopo, Ronconi inizia le prove di quella che purtroppo sarà la sua ultima regia. Lo spettacolo debutta al Piccolo Teatro di Milano alla fine di gennaio 2015 con Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio, Paolo Pierobon: ha un enorme successo e fa incetta di premi Ubu. Nell’autunno dello stesso anno Rai 5 trasmette lo spettacolo in televisione e replica più volte la messa in onda.
A quel punto le traduzioni e messe in scena all’estero non si contano: Germania, Belgio, Danimarca, Canada, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Bulgaria e altre ancora.
In Inghilterra lo spettacolo debutta nel luglio 2018 al Royal National Theatre di Londra con la regia di Sam Mendes e un cast con Simon Russell Beale, Ben Miles e Adam Godley. L’anno seguente, con lo stesso cast, l’allestimento si trasferisce a New York dove viene replicato per circa otto mesi, quattro dei quali a Broadway.
Ecco, i cinque Tony Awards sono una splendida soddisfazione ma non sono arrivati all’improvviso o per caso. Lehman Trilogy è senz’altro il testo che ha caratterizzato il teatro italiano e internazionale dell’ultimo decennio. Il modo di raccontare così apparentemente poco teatrale, i personaggi indimenticabili, le riflessioni sul capitalismo nelle sue varie fasi, la sensibilità linguistica e plurilinguistica di Massini, tutto questo ha concorso a fere di Lehman Trilogy un capolavoro. Ed è bello che su questa base siano arrivati anche i più prestigiosi e meritatissimi premi.
Bravo Stefano!
Inedito in Italia, primo dopo la serie di Neal Carey, Ultima notte a Manhattan di Don Winslow è la storia di un omicidio che è solo un tassello di un disegno più vasto, un complotto ordito da chi sa di potere tutto.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta, Manhattan è all’apice del suo fulgore, il posto ideale per chi ha grandi ambizioni o vuole soltanto cambiare vita. Joe Keneally è un giovane senatore che mira alla presidenza. Walter Withers, invece, a New York ci è tornato. Ha lavorato a lungo per la Cia e adesso è un investigatore privato in una grande agenzia di sicurezza. Le loro parabole si intersecano quando a Withers viene chiesto di fare da scorta durante un party a Madeleine Keneally, l’affascinante e ricca moglie del senatore, la «principessa d’America» che sembra destinata a diventare First Lady. Un compito di routine, all’apparenza. Ma nello stesso albergo alloggia anche la giovane e bella amante del senatore.
«Prima o poi succede qualcosa di brutto a qualcuno di loro […]. Per arrivarci Winslow si prende il suo tempo, tutto quello che gli serve e che ci vuole, intrecciando destini e caratteri, paranoie e coincidenze, nell'atmosfera ovattata e inquietante, elegante e frenetica, appunto, di un Natale a Manhattan. Sospetti e segreti che crescono fino a scoppiare in questo noir che sembra un romanzo di spionaggio York, e si muove come un hard boiled» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).
Winslow ha dato vita a un romanzo emozionante: «La narrazione e lo stile di Don Winslow – che qui leggiamo nella fedele traduzione di Alfredo Colitto – sono cose che prendono e non mollano. Perché è bravo, il nostro Winslow – personalmente è uno dei miei preferiti – padrone di un mestiere così solido che fa quello che deve fare il mestiere quando è solido: non si vede» (Carlo Lucarelli, «Tuttolibri – La Stampa»).
Con Ultima notte a Manhattan Winslow «non solo si addentra nel terreno, affascinante e potenzialmente pericoloso, del fanta-noir storico. Ma lo fa abbandonando la consueta, cristallina limpidezza dello stile e della scrittura. Per calarsi in un'altra scrittura e a un altro stile, meno "classici", meno controllati, più torrenziali e anarchici: quelli tipici dei maestri dell'hardboiled, Dashiell Hammett, Raymond Chandler. O il leggermente meno raffinato Mickey Spillane, l'unico citato esplicitamente, e in più di una occasione, nel romanzo. […] Il risultato è un affresco movimentato, pieno di ritmo, dipinto con partecipazione emotiva e un pizzico di nostalgia: sentimento che ci assale dì fronte a momenti della storia irripetibili, nel bene e perfino nel male, e che ci sembra di aver vissuto anche se non c'eravamo. Un'esperienza dolceamara, che evoca le note di un sassofono jazz dell'epoca: da leggere, magari, ascoltando gli album del primo John Coltrane» (Claudia Morgoglione, «Robinson – la Repubblica»).
«Ecco, dire che Ultima notte a Manhattan mette insieme il James Ellroy di American Tabloid, l'appena compianto John Le Carré de La talpa, e anche il Raymond Chandler de II grande sonno, è inopportuno soltanto perché anche Don Winslow è un grande classico alla pari degli altri» (Carlo Lucarelli, «tuttolibri – La Stampa»).