Giulio Einaudi editore
Roberto Esposito

Che negli anni della pandemia l’immunizzazione sia diventata il baricentro dell’intera esperienza contemporanea è ormai sotto gli occhi di tutti. Dalla medicalizzazione della politica al disciplinamento degli individui, dal confinamento sociale al controllo della popolazione, le società contemporanee sembrano preda di una vera sindrome immunitaria.

Roberto Espostito, che già aveva preconizzato questi processi vent’anni fa nel suo lungimirante saggio Immunitas, in questo libro ricostruisce gli snodi decisivi del rapporto complesso tra comunità e immunità. Uno degli obiettivi del suo lavoro «è soprattutto quello di ricondurre le principali questioni che si sono poste da quando è scoppiata la pandemia (esiste davvero un conflitto tra diritto alla vita e diritto alla libertà? Che relazione c'è tra stato di eccezione e stato di emergenza? Come pensare il rapporto tra scienza, tecnica e politica?) all'interno di quel paradigma immunitario che ne costituisce l'orizzonte di senso» (Michela Marzano, «la Repubblica»).

È naturale che la politica chieda aiuto alla medicina, «ma deve conservare le proprie prerogative decisionali. Altrimenti il risultato può essere quello di considerare i cittadini come dei potenziali malati e si corre il rischio di indebolire la capacità della politica di incidere sulla nostra vita, con gli effetti di sfiducia nella forza e nell'autorevolezza di chi ci governa» (Roberto Esposito intervistato da Ugo Cundari, «Il Mattino»).

Sempre per il Esposito, nell’intervista rilasciata all’Huffington Post (link), «o si va a una svolta radicale o il nostro modello di civiltà è condannato. Ciò riguarda la relazione, sempre più stretta, tra storia e natura, uomo e ambiente, scienza e tecnica. Ma anche i rapporti di forza economici e politici. Non è pensabile che il mondo possa resistere a una crescita delle disuguaglianze come quella cui stiamo da tempo assistendo e che la pandemia ha accresciuto. Mai come oggi è diventato chiaro che non è possibile che una parte di umanità si salvi a scapito dell’altra. O il mondo si salva nel suo insieme o rischia di perire tutto».

«L'interrogativo che muove l'analisi (e la sintesi) del filosofo è se l'interpretazione del rapporto tra biopolitica e istituzioni, per come lo abbiamo definito e analizzato finora, sia adeguata. Esposito osserva che, per la prima volta nella storia dell'uomo, ci si propone una vaccinazione per l'intero genere umano e questo proposito - teorico, sappiamo che in vaste zone del mondo non c'è disponibilità di produrre o comprare i vaccini  - cambia il rapporto tra immunità e comunità che, evidenzia il filosofo, non esistono l'una senza l'altra pur opponendosi sia da un punto di vista logico che etimologico» (Chiara Valerio, «L’Espresso»).

Giorgio Agamben

Dopo A che punto siamo? (Quodlibet, 2020), pamphlet sulla pandemia che ha fatto molto discutere, torna nelle librerie Giorgio Agamben con La follia di Hölderlin. Attraverso una cronaca puntigliosa e appassionata degli anni della follia e un commento di testi che sono stati spesso considerati illeggibili, questo libro cerca di descrivere e rendere per la prima volta comprensibile una vita, che Hölderlin stesso ha definito abituale e «abitante».

Se nella prima metà della sua esistenza il poeta vive nel mondo e partecipa nella misura delle sue forze alle vicende del suo tempo, nella seconda parte Hölderlin è del tutto fuori del mondo, come se, malgrado le visite saltuarie che riceve, un muro lo separasse da ogni relazione con gli eventi esterni.

«Agamben ripercorre quel periodo oscuro dell’esistenza del poeta in una “cronaca”, che non ha dunque né l'ambizione esplicativa della storia né il limite analitico della biografia. Il cronista non distingue tra le azioni del protagonista e il suo racconto; non inventa nulla, ma non ha neppure bisogno di verificare l'autenticità delle sue fonti. Nel racconto, anzi, nella cronaca, la sua voce si coniuga con quella da cui gli è capitato di udire la vicenda narrata» (Donatella Di Cesare, «tuttolibri – La Stampa»).

Hölderlin verrà internato nella clinica psichiatrica di Tubinga: la diagnosi resterà un enigma ma gli verranno somministrati farmaci potenti, forse nocivi, non gli saranno risparmiate violenze, dalla camicia di forza a una nuova maschera facciale…

«Agamben si sofferma sulla maschera. E non è l'unico riferimento alla cronaca del periodo pandemico. Al termine dell'epilogo scrive: “Da quasi un anno vivo ogni giorno con Hòlderlin, negli ultimi mesi in una situazione di isolamento in cui non avrei mai creduto di dovermi trovare. Congedandomi ora da lui, la sua follia mi sembra del tutto innocente rispetto a quella in cui un'intera società è precipitata senza accorgersene”. Le domande allora si moltiplicano. Anzitutto: che cosa vuol dire follia? Che è folle? E poi ancora: che cosa vuol dire abitare?» (Donatella Di Cesare, «tuttolibri – La Stampa»).

Il nuovo libro di Agamben può essere valutato «come un felice approccio creativo e filosofico a una vita intesa "come figura", ovvero a un'esistenza che si pone come "punto di fuga" in cui convergono una molteplicità di fatti ed episodi, e anche le inquietudini del nostro presente. "La lezione di Hölderlin è che quale che sia lo scopo per cui siamo stati creati, non siamo stati creati per il successo, che la sorte che ci è stata assegnata è fallire in ogni arte e studio e innanzitutto nella casta arte di vivere. E, tuttavia, proprio questo fallimento se riusciamo a afferrarlo è il meglio che possiamo fare"» (Luigi Reitani, «Domenica - Il Sole 24 Ore»).

La follia di Hölderlin è già in via di traduzione in portoghese (Brasile, Ayiné), in inglese (Seagull), e spagnolo (Hidalgo).