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Dopo il successo dell’esordio Il valore affettivo, apprezzato da critica e pubblico, torna nelle librerie Nicoletta Verna con I giorni di Vetro.
L’autrice racconta la storia di Redenta, nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che Redenta abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto. È così che comincia davvero il fascismo.
Redenta è ingenua, ma il suo sguardo sbilenco vede ciò che gli altri ignorano. È vulnerabile, ma resiste alla ferocia del suo tempo. È un personaggio letterario magnifico. La sua voce continuerà a risuonare a lungo, dopo che avrete chiuso l'ultima pagina.
I giorni di Vetro è un romanzo storico. L’autrice ha detto: «Ho scelto di raccontare il passato per parlare della violenza del presente. Il tema principale del romanzo è la violenza come primordiale e inevitabile forma di interazione fra gli esseri umani. Questa violenza nel distruggere determina il progresso: l’evoluzione è sopraffazione, dunque violenza. […] Qualunque invenzione presente nel romanzo è sottoposta al rigido vincolo della verità storica frutto di una corposa ricerca».
Il romanzo sta ricevendo un’accoglienza straordinaria:
«È già il caso letterario dell’anno. Leggendolo rimarrete colpiti dalla straordinaria forza della lingua. Un romanzo straordinario».
Massimo Gramellini a «In altre parole» su La7, link
«È una sorpresa. Una scrittura piena di forza, personalità, capace di attingere dal passato come se ne avesse esperienza diretta».
Nicola Lagioia, link
«Questo libro è vivo: fatto di Elsa Morante e di Renata Viganò. Il romanzo italiano torna a resistere».
Roberto Saviano
«I giorni di Vetro si dimostra capace di tessere un rapporto ideale tra i destini minuti delle persone e la Storia con tanto di maiuscola, cioè quella grondante di vita, morte, amor patrio, stragi, assembramenti, sangue, folla, congiure […] Questo romanzo ti arrovella e non ti lascia in pace. Ha un fuoco ottocentesco e un carico emotivo estremo, e il suo confronto con l'estetica e la follia del fascismo è un dato oggi attualissimo. Farà parlare di sé».
Leonetta Bentivoglio, «la Repubblica»
«Verna ha una voce potentissima, diversa da tutte, ha come un magnete interno attorno al quale tutto il racconto gravita, una tranquillità e una sicurezza, una calma rovente. Un tizzone, la letteratura quando torna».
Concita De Gregorio, «la Repubblica», link
«I giorni di Vetro di Nicoletta Verna è un romanzo epico, ambientato a Castrocaro nell’arco di tempo dall’omicidio Matteotti, 1925, alla Liberazione, con protagonista Redenta, “nata con la scalogna”, zoppa per la poliomielite, “la scema del paese”, eppure capace, lei così fragile, di resistere alla ferocia del suo tempo e alla bestialità del marito».
Daniela Monti, «7 – Corriere della Sera»
«I giorni di Vetro di Nicoletta Verna è uno dei libri più neri e severi che io abbia mai letto, ma con una luce interna (la letteratura?) che sorregge il racconto dalla prima all’ultima riga, e gli impedisce di soccombere alla durezza dei fatti. Un grande libro».
Michele Serra, «Il Post»
«Questo romanzo riesce nell’impresa quasi impossibile di raccontare la Resistenza sfuggendo alla retorica. Per farlo, Verna segue le tracce di Fenoglio: narra gli esseri umani con le loro piccole passioni, i loro amori, le loro insicurezze, e sono queste ultime più che il coraggio a fungere da leva per combattere».
Irene Graziosi, Lucy, link
L’ultimo erede di una dinastia decaduta, i Cimamonte, si è ritirato a vivere nella villa da sempre appartenuta alla sua famiglia. La tenuta giganteggia su Vallorgàna, un piccolo e isolato paese di montagna. Il mondo intorno, il mondo di oggi, nel quale le nobili dinastie non importano piú a nessuno, sembra distante. L’ultimo dei Cimamonte è un giovane uomo solitario che in paese chiamano scherzosamente «il Duca».
Sospeso tra l’incredibile potere del luogo, il carico dei lavori manuali e le vecchie carte di famiglia si ritrova via via in una quiete paradossale, dorata, fuori dal tempo. Finché un giorno bussa alla sua porta Nelso, appena sceso dalla montagna. È lui a portargli la notizia: nei boschi della Val Fonda gli stanno rubando seicento quintali di legname. Inaspettatamente, risvegliato dalla smania del possesso, il sangue dei Cimamonte prende a ribollire.
Matteo Melchiorre ha costruito una storia tesissima ed epica sulla furia del potere, le leggi della natura e la libertà individuale. Un romanzo classico eppure nuovissimo, epico e politico, torrenziale e filosofico, che invita a riflettere sulla libertà delle scelte e la forza irresistibile del passato.
Un congegno narrativo dal quale è impossibile staccarsi che sta entusiasmando critica e mondo letterario:
«Ti prende, questa strana lingua, come il bosco che ti cresce intorno e non te ne accorgi».
Paolo Cognetti
«Lontanissimo dal realismo isterico, Il Duca appartiene a una variante più maestosa e sicura di sé del romanzo borghese: il romanzo nobile. Alla fine, con tanto di colpi di scena, si rivela un giallo […] Un libro formidabile, capace di entusiasmare per eleganza e compiutezza, nonché di far pensare che siano ancora vive o in buona salute, di certo raggiungibili, alcune delle cose perdute e impalpabili per cui, oggi, continuiamo a setacciare i romanzi: la voglia d'avventura, il freddo della montagna e la grandezza da cui non siamo stati lambiti».
Nicola H. Cosentino, «la Lettura – Corriere della Sera»
«Una prima persona sontuosa, implacabile. Con una tensione che non abita solo nei trucchi del mestiere, ma nel talento di produrre personaggi viventi. Leggerete di un Duca Don Quijote che ha in Nelso, il suo Sancho […] Bisogna comprarlo perché ci riconcilia col mestiere dello scrittore e ce lo fa sembrare un atto indispensabile per la nostra crescita».
Marcello Fois, «tuttolibri – La Stampa»
«Siamo davanti ad un romanzo pazzeschissimo. Io gli darei lo Strega. Adesso. Subito».
Luciana Littizzatto, link
«Melchiorre ha una tecnica narrativa meravigliosamente efficace e raffinata […] Cercando di definire che cosa ci emoziona quando si troviamo davanti a un capolavoro, Borges suggerisce che possa trattarsi dell'"imminenza di una rivelazione che non ha luogo". Il romanzo di Melchiorre conferma questa brillante intuizione».
Alberto Manguel, «Robinson – la Repubblica»
«Il Duca è pervaso da una forza nera».
Marco Missiroli
«Melchiorre rinnova la tradizione del romanzo storico italiano, da Manzoni a Eco: quello che il Duca scoprirà è la somiglianza degli esseri umani, nell'essere vittime e carnefici della storia, e un meraviglioso senso di pace che può darci la contemplazione della natura mentre assiste alle nostre piccole vicende».
Christian Raimo, «L’Essenziale»
«Mario Fastréda è un cattivo diverso dal solito, un antagonista dal destino imprevedibile, un duellante come non se n'erano mai visti. Un personaggio che, insieme al Duca, lascerà il segno nella nostra letteratura».
Tiziano Scarpa, «Domani»
«Matteo Melchiorre è uno scrittore che scuote e ispira perché è uno storico che lavora sulle fonti con tutto il corpo, un geografo che calca la mappa con gli scarponi e le cui intuizioni non mancano mai di sorprendere, un medium che evoca i fantasmi del territorio e li raduna a convegno. Fantasmi di confini, fantasmi di conflitti, fantasmi di paesaggi scomparsi o trasfigurati. Seguiamo il suo lavoro da molti anni, non come si segue un collega, ma come si segue dal versante di un monte il percorso di un viandante sul monte di fronte. Ogni tanto entra nel bosco e lo perdi di vista, ma sai che lo vedrai riapparire al prossimo tratto scoperto, e sai che presto lo incontrerai, in quella zona dove i nostri sentieri si uniranno, là dove l'archivio è la strada, e la strada è l'archivio».
Wu Ming