Il Re del gelato
Cristina Cassar Scalia
Arrivata da poco a Catania, Vanina sta facendo conoscenza con la città quando le piomba addosso un caso delicato, di quelli...
«È un romanzo sulla ricerca della felicità, sul non rassegnarsi». Gianrico Carofiglio descrive così a Severino Colombo, in un’intervista sul Corriere della Sera, L’orizzonte della notte, il nuovo libro che vede protagonista l’avvocato Guerrieri cinque anni dopo La misura del tempo.
Questa volta a Guido Guerrieri non basta più il fedele Mr Sacco, il sacco da pugilato con cui l’avvocato, tra un pugno e l’altro, è solito confidarsi.
«Il problema, senza offesa, è che tu sei un po’ troppo taciturno. Sei un ottimo ascoltatore, per carità. Ma sai, a volte uno ha bisogno di qualche commento esplicito, qualche interpretazione, anche qualche consiglio» (L’orizzonte della notte).
E proprio in quest’ottica Guido Guerrieri ne L’orizzonte della notte affronta un percorso di analisi con uno psicoanalista di scuola junghiana, il dottor Carnelutti, mentre è alle prese con un caso giudiziario che metterà a dura prova il senso di giustizia dell’avvocato, chiamato a difendere Elvira Castell. La donna ha ammesso di aver ucciso con un colpo di pistola al cuore l’ex compagno della sorella, da poco morta suicida.
«Mi interessava affrontare un soggetto etico, deontologico, ragionare su cos’è la legittima difesa, e anche parlare del tema della violenza sulle donne in maniera indiretta, da un altro angolo visuale», spiega Carofiglio nell’intervista al Corriere.
Un viaggio psicologico che rappresenta l'atmosfera di un libro delicato e dolente: seguendo il ritmo del legal thriller di cui è maestro Maurizio Crosetti, «la Repubblica»
L’angolo visuale scelto da Carofiglio per parlare della violenza sulle donne, e le sedute di analisi con il dottor Carnelutti, porteranno l’avvocato Guerrieri a prendere decisioni importanti nel corso del romanzo, e anche ad «accettare l’idea che sbagliare non è una catastrofe, è un passaggio fondamentale dell’evoluzione. Una forma di armistizio con noi stessi. Un modo per diventare persone migliori. Senza commiserazione e senza risentimento» (L’orizzonte della notte).
Come nota Maurizio Crosetti nella sua recensione pubblicata su Repubblica, «Il sentimento del tempo, una giostra tra sottrazione e accumulo, intesse questo romanzo multistrato, dove lo stile asciutto di Carofiglio è la nota giusta per non sbandare nelle curve del dolore. L’enfasi, scrive l’autore, segnala sempre un disagio».
L’orizzonte della notte è il settimo romanzo di Gianrico Carofiglio con protagonista Guerrieri. Il primo è Testimone inconsapevole (Sellerio, 2002), seguito da Ad occhi chiusi (Sellerio, 2003), Ragionevoli dubbi (Sellerio, 2006), Le perfezioni provvisorie (Sellerio, 2010), La regola dell’equilibrio (Einaudi Stile Libero, 2014) e La misura del tempo (Einaudi Stile Libero, 2019).
Caminito, il nuovo romanzo del maestro del giallo italiano Maurizio de Giovanni, segna il ritorno dell’amatissimo commissario Ricciardi. I lettori l’avevano incontrato l’ultima volta ne Il pianto dell’alba, uscito nel 2019, e in questi anni di assenza hanno potuto apprezzarne la trasposizione televisiva nella fiction Rai del 2021, diventata già un cult.
È il 1939, sono trascorsi cinque anni da quando l’esistenza di Ricciardi è stata improvvisamente sconvolta. E ora il vento d’odio che soffia sull’Europa rischia di spazzare via l’idea stessa di civiltà. Sull’orlo dell’abisso, l’unico punto fermo è il delitto. Fra i cespugli di un boschetto vengono ritrovati i cadaveri di due giovani, stavano facendo l’amore e qualcuno li ha brutalmente uccisi. Le ragioni dell’omicidio appaiono subito oscure; dietro il crimine si affaccia il fantasma della politica. Con l’aiuto del fidato Maione – in ansia per una questione di famiglia – Ricciardi dovrà a un tempo risolvere il caso e proteggere un caro amico che per amore della libertà rischia grosso. Intanto la figlia Marta cresce: ormai, per il commissario, è giunto il momento di scoprire se ha ereditato la sua dannazione, quella di vedere e sentire i morti.
«Caminito è più di un giallo. È un romanzo ricco di sorprese, trova energia nella profondità dell'anima letteraria dello scrittore napoletano. Un ritorno che danza in tre quarti, il tempo perfetto della musica nell'era classica. Le trame si intrecciano con ritmo impeccabile, per raccontare le pene e le speranze, sino a quando tutti i fili si ricompongono e cala il sipario».
Marco Zatterin, «tuttolibri - La Stampa»
«…Già da questi brevi accenni di trama si capisce che quello dell'indagine poliziesca è solo uno dei sentieri percorsi del romanzo. Le storie di Ricciardi non sono mai state solo casi da risolvere, ma un mondo dove tutto si muove assieme. E in questo romanzo del ritorno dell'amato commissario la dimensione corale è ancora più marcata. E proprio vero, non occorre chiedere il permesso per entrare nell'ufficio di Ricciardi. Neppure per sentirsi di casa tra storie e personaggi di de Giovanni».
Severino Colombo, «Corriere della Sera»
«Caminito è romanzo giallo, politico e d'amore, intriso della consueta umanità che De Giovanni sa infondere nei suoi personaggi, anche quelli "cattivi" come il capo della polizia politica di Napoli. La bella Livia, poi. Che dall'altra parte del mondo, canta il suo dolore con un tango. Caminito, appunto».
Fabrizio d'Esposito, «il Fatto Quotidiano»
«Se da un lato il registro dominante di questo anomalo poliziesco è quello della rilettura storica degli anni del fascismo, più intensamente degli altri romanzi della serie qui la scrittura di De Giovanni vibra di echi e di richiami alle memorie del passato, al tempo perduto, all'amore inespresso, al fluire della vita che trascorre e svanisce lasciandoci solo il suo senso inesplicabile. È il tempo, che unisce e separa, a rendere assurda e insensata ogni vicenda personale. A Ricciardi e alla sua sposa, così come ai due giovani uccisi nell'attimo in cui si giuravano amore eterno, è stata sottratta la felicità dopo averla promessa».
Santa Di Salvo, «Il Mattino»
«Romanzo che conferma quanto de Giovanni ami il suo personaggio al punto da sentirne palpitare cuore, pensieri, mille dubbi: per questo lo riconsegna ai suoi lettori più vivo che mai, più adulto, maturo, disilluso, non fermo nel tempo e identico a sé stesso mentre attorno accadono e continuano a verificarsi senza soluzione di continuità omicidi che solo lui, con il celebre dono del "Fatto" – ascoltare la voce dei morti assassinati negli ultimi istanti di vita – potrebbe risolvere».
Pier Luigi Razzano, «la Repubblica – Napoli»
«Quello che sembra importare sempre di più a de Giovanni è l'analisi e l'introspezione dei personaggi, delle loro storie, delle loro passioni. E se l'autore napoletano si conferma un appassionato tessitore di trame, anche la parte più "intima" del racconto gli è congeniale. Intanto, le ultime pagine lasciano aperta la strada: Ricciardi è tornato e non è affatto intenzionato ad abbandonare i suoi lettori».
Mirella Armiero, «Corriere del Mezzogiorno»
Il vicequestore Giovanna, detta Vanina, Guarrasi è stata trasferita alla mobile di Catania a 39 anni. A Palermo, la sua città, lascia il ricordo di suo padre, ucciso dalla mafia, e un amore doloroso.
Tra queste due città si svolgono i romanzi che la vedono protagonista: storie di indagini che mettono alla prova «l'acume, la tenacia e la fantasia di una grande poliziotta». Sullo sfondo di queste indagini si staglia l’immagine di una Sicilia viva, con tutte le sue bellezze e le sue contraddizioni.
Nella mappa qui sotto potete esplorare e scoprire alcuni dei luoghi più iconici delle storie di Cristina Cassar Scalia. Utile anche per le vostre vacanze a tema letterario.
Penelope Spada è un ex PM milanese che per motivi oscuri ha dovuto lasciare la magistratura. Ora vive conducendo indagini per conto di privati, senza essere in possesso di alcuna licenza investigativa. «Nel suo passato c'è una lesione e anche nel presente narrativo ci sono elementi contraddittori, come la combinazione tra sport e abitudini malsane. Ha una dimensione etica fortissima che coesiste con un'altrettanto forte propensione a violare le regole. Rimbalza tra estremi e lo ammette chiaramente: voleva fare lo sbirro ma voleva anche l'autonomia del pubblico ministero» (Gianrico Carofiglio intervistato da Stefania Parmeggiani, «la Repubblica»).
Una mattina si presenta da lei Marina Leonardi: vuole che faccia chiarezza sulla morte del padre, archiviata tempo prima come decesso per cause naturali. La donna crede che sia stato ammazzato.
Vittorio Leonardi, chirurgo, professore universitario, parlamentare per una legislatura, dopo aver divorziato si è sposato con una donna molto più giovane di lui, cui ha lasciato la gran parte del cospicuo patrimonio; poco prima di morire aveva però espresso verbalmente al notaio la volontà di modificare il testamento.
Il caso riporta Penelope a un passato che voleva dimenticare, ma le offre anche l’occasione per riallacciare i fili sospesi della propria esistenza.
«Come la sabbia nella clessidra, anche la vicenda di Penelope scorre inesorabile verso la resa dei conti, guidata da "una quieta e implacabile entropia in azione". Quieta e implacabile è anche la scrittura di Carofiglio, scarna e precisa come chi sa quanto sia forte il potere delle parole e la responsabilità di usarle» (Raffaella Silipo, «tuttolibri – La Stampa»).
Gianrico Carofiglio ci consegna un’avventura umana che va ben oltre gli stilemi del genere; e un personaggio epico, dolente, magnifico: «Nel mio giallo atipico il risultato narrativo è l'esito di una combinazione di tante storie di persone molto diverse tra loro, che offrono uno squarcio, un brandello di riflessione sulla condizione umana» (Gianrico Carofiglio intervistato da Francesco Mannoni, «Il Mattino»).
Rancore è «una storia di colpa e redenzione, e una riflessione sul potere salvifico delle parole, quelle che sgorgano, finalmente, a svelare la propria verità» (Maria Grazia Ligato, «Io Donna»).
Con Il talento del cappellano torna nelle librerie il vicequestore Vanina Guarrasi, l'amato personaggio di Cristina Cassar Scalia, astro nascente del crime italiano.
In una notte di neve, il custode di un vecchio albergo in ristrutturazione alle pendici dell’Etna scopre il cadavere di una donna. Quando però i poliziotti della Mobile di Catania arrivano sul posto, del corpo non vi è più traccia. Poche ore dopo viene ritrovato nel cimitero di Santo Stefano, proprio il paese dove abita la Guarrasi, al fianco di un uomo disteso, un monsignore conosciuto e stimato; entrambi sono stati uccisi. Particolari inquietanti circondano la scena: qualcuno ha disposto intorno ai due corpi fiori, lumini e addobbi.
Il mistero si dimostra parecchio complesso, oltre che delicato, perché i conti, in questa storia, non vogliono mai tornare, un po’ come nella vita di Vanina. Con il Capodanno alle porte, pasticcio peggiore non poteva capitare e l’aiuto del commissario in pensione Biagio Patanè può risultare al solito determinante.
«Con una scrittura avvolgente e ironica, impastata con la lingua siciliana che abbiamo imparato a conoscere e amare nei romanzi gialli di Andrea Camilleri, Cristina Cassar Scalia, giallista italiana tra le più amate, ci conduce nelle atmosfere opulente di una terra magnifica attraverso una indagine incalzante che non si accontenta di esaminare al microscopio il recente passato delle vittime e degli ipotetici assassini ma scandaglia in profondità il passato di tutti i personaggi coinvolti alla ricerca dell'indizio nascosto, della pista insospettabile» (Gabriella Genisi, «tuttolibri – La Stampa»).
Il duplice delitto costringe Vanina a scavare nel passato delle vittime, pagine intense che mostrano al lettore uno spaccato di storia della vita siciliana: «Approfitto sempre delle storie che racconto per ricordare anche un po' del tempo andato. Stavolta ricordo la terribile escalation della mafia siciliana che ha avuto il suo culmine estremo in stragi come quella di Capaci. Uso spesso l'escamotage della cronaca per far narrare a Patanè pezzi del nostro passato» (Cristina Cassar Scalia intervistata da Francesco Mannoni, «Il Mattino»).
Il caso è spinoso e spinge il vicequestore a non lasciare nessuna pista in sospeso, a soffermarsi su ogni indizio, ad ascoltare ogni storia: «C'è tanto di me in Vanina […] Ci accomuna il modo di svolgere le nostre faccende professionali: essendo io medico, sono molto attenta agli indizi che mi servono per elaborare la diagnosi. Cerco sempre di andare più a fondo, di sviscerare il più possibile ciò che mi viene detto. Allo stesso modo Vanina deve indagare, scoprire per arrivare alla soluzione» (Cristina Cassar Scalia intervistata da Francesca Bolino, «la Repubblica - Torino»).
Con Léon, torna nelle librerie Grazia Negro, uno dei personaggi più amati del maestro del giallo italiano, Carlo Lucarelli. Con lei Simone, il ragazzo cieco di Almost Blue.
Siamo a Bologna, all’Ospedale Maggiore. Grazia è ancora stordita dall’anestesia per il cesareo eppure sorride. Finalmente, a dispetto di tutto, è quello che ha scoperto di voler essere: una madre. Basta con le indagini, basta con i morti, basta con la caccia ai mostri. È felice.
Ma un attimo dopo, torna un incubo dal passato: l'Iguana. È un feroce assassino, una belva capace di cambiare identità come il rettile cambia la sua pelle. È cieco ma si muove con agilità, come avesse un radar. Si sentivano tutti al sicuro, prima, perché era rinchiuso in un manicomio. Invece ora è fuggito, lasciando dietro di sé due cadaveri e un'infermiera terrorizzata.
«Non so da quanto tempo non avevo così paura. E non so neanche spiegare perché: questo fa parte della magia e della capacità di Carlo Lucarelli di mettere insieme i fili, le storie, le musiche […] Un libro pieno di colpi di scena» (Daria Bignardi a l’«Ora Daria» – Radio Capital, link).
Grazia Negro è l'ispettore che l'aveva catturato. «Finalmente» madre di due gemelle, in aspettativa, ha mollato tutto per godersi la maternità tanto desiderata. Ora, il timore che l'Iguana voglia vendicarsi di lei e del suo ex compagno che l'aveva aiutata, anche lui non vedente, è forte e viene portata in una residenza protetta.
La gioia della maternità è dunque sconvolta da questo nuovo pericolo; la protagonista dovrà riuscire a dedicarsi alle due figlie e dare la caccia al terribile assassino: «Si trova a un bivio: deve scegliere di essere o una cacciatrice o una mamma. L'alternativa per lei è motivo di molti problemi che al momento non riesce a risolvere a causa del suo modo ossessivo di operare» (Carlo Lucarelli intervistato da Francesco Mannoni, «Il Mattino»).
«Il racconto nel suo fluire ha un andamento sinuoso che porta la paura – il sentimento lo scrittore sa meglio far crescere e tenere vivo – sempre più vicino: nell'intimità di una casa, che diventa vulnerabile; nella sicurezza di una struttura di cura, che dovrebbe sorvegliare e guarire ma non lo fa o comunque non lo fa abbastanza; nella fiducia verso la persona che sta a fianco, che diventa sospetta […] La scrittura è sorvegliata, attenta e asciutta: usa periodi corti o frammentati, parole che rompono il ritmo di lettura e spezzano il fiato; dialoghi, a capo, punteggiatura e spazi vuoti sulla pagina» (Severino Colombo, «Corriere della Sera»).
Torna in libreria l'irresistibile Mina Settembre, assistente sociale del Consultorio Quartieri Spagnoli Ovest, fra i personaggi più amati del maestro del giallo italiano, Maurizio de Giovanni, e ora anche protagonista di una fortunata fiction Rai.
Accadono due fatti. Due fatti che appaiono chiari, eppure a Mina i conti non tornano. Un’anziana viene scippata, cade e finisce in coma. Sin qui nulla di strano, purtroppo; è la soluzione del caso, il modo in cui arriva, a non convincere. E convince poco pure il secondo episodio, una scena di povertà estrema mandata in onda da una televisione locale: un bambino che si contende del cibo con un cane fra montagne di spazzatura.
No, a Mina i conti non tornano proprio. Non è una donna che si lascia incantare dalle mille voci che circolano in città; è curiosa, caparbia, e così inizia a indagare con l’aiuto dell’innamoratissimo Mimmo Gammardella, il ginecologo più bello dell’universo, e a dispetto del suo caustico ex marito, il magistrato Claudio De Carolis. Solo che deve stare attenta, perché di mezzo, in questa vicenda, ci sono parecchie sirene, e le sirene, si sa, incantano.
È il mio miglior libro, quello più napoletano e quello più legato alla personalità narrativa di mia madre, scomparsa lo scorso autunno. Spero di restituire un centesimo della sua capacità di raccontare. Maurizio de Giovanni
Meno male che a far da guida fra inganni e malintesi c’è la Signora, straordinaria presenza che attraversa l’intero romanzo. Una delle invenzioni più poetiche dell’autore. Abita in un vicolo e ne ha viste tante nella vita. È convinta che le storie siano tutte legate da fili nascosti che, però, bisogna scovare.
«Se volete una storia, dovete andare dalla Signora. Arrivarci non è banale. La Signora sta alla fine di un vicolo privo di uscita, in cima ai Quartieri Spagnoli […] Prima di tutto, si notano il silenzio e il fresco. Per qualche oscura ragione, le alte pareti in tufo trattengono la cacofonia perenne all’esterno e restituiscono di sera il sole, e di giorno le tenebre, cosí da fornire un perenne pomeriggio di primavera, quale che sia la stagione. E in fondo, una magnolia spontanea si inchina dalle pietre in avanti, come una naturale tettoia protettiva di foglie larghe e scure, e fiori bianchi o germogli. Nemmeno con un drone, viene da pensare, si potrebbe vedere niente di quello che succede qui.
Ma tanto non succede nulla, qui, o quasi. C’è solo una porta che dà in un basso di cui non si vede l’interno, buio com’è. E una sedia. Dove sta la Signora».
Una Sirena a Settembre, pp. 3-4
In una mattina di dicembre il capitano del Chiwi, l’imponente yacht dell'imprenditore Ademaro Proietti, ha lanciato l'allarme: «Uomo in mare». È proprio il proprietario ad essere scomparso, non si è presentato a colazione, il letto della sua cabina è intatto. Quando il mare di Ostia restituisce il cadavere di Ademaro, la prima ipotesi è che l’uomo sia annegato in seguito a una disgrazia. Eppure c’è qualcosa che non torna, un piccolo indizio che potrebbe richiedere per l’episodio una spiegazione diversa.
Ad indagare viene mandato il magistrato melomane Manrico Spinori, primo personaggio seriale nato dalla penna di Giancarlo De Cataldo. Insieme a lui «riecco il team delle collaboratrici del pm, Deborah Cianchetti, Gavina Orru e Sandra Vitale. Per fortuna: era bastato un romanzo per farci venire voglia di ritrovarle» (Alberto Mattioli, «tuttolibri – La Stampa», link).
Sullo yacht, che tornava da Ponza, c'erano sette persone: il capitano, un marinaio, lo scomparso i suoi tre figli, il genero. Il corpo del palazzinaro non è ancora corroso dal mare né deturpato dai gabbiani. Ha però una sospetta lesione alla testa. Da qui parte un «giallo d'atmosfera, nella migliore tradizione del genere» che, secondo Maurizio Crosetti, si trasforma in un «giallo psicologico, dove il garbuglio di possibili moventi rivela tutta la sporcizia cacciata sotto il tappeto per decenni, comprese le turpi origini della fortuna del palazzinaro ucciso, il cui padre se la faceva con i nazisti» (Maurizio Crosetti, «la Repubblica»).
De Cataldo «non si limita a regalare al lettore un giallo impeccabile per meccanica, scrittura e descrizione d'ambienti, un mondo romano altoborghese ma sostanzialmente cafone. Sommessamente, com'è nello stile suo e del suo pm, lancia frecce sottili ma per questo ancora più acuminate contro l'horror che ci circonda, la violenza verbale e la miseria intellettuale dei social, il giustizialismo isterico, i processi celebrati dai media invece che nei tribunali, la volgarità di modi e mode. Rivendicare il valore e magari pure la bellezza delle infinite tonalità di grigio in un mondo che vede solo il bianco e il nero non è poco. L'understatement, l'ironia, la signorilità diventano allora una forma di resistenza al Grande Chiasso che ci assedia, un argine precario ma prezioso alle colate di guano che tracimano ovunque, un piccolo spazio personale di sopravvivenza nella gara a chi urla più forte, e generalmente delle sciocchezze. Come quando Spinori si chiude nel suo studio, indossa un vecchio kimono e si abbandona alla bellezza di un'opera lirica» (Alberto Mattioli, «tuttolibri – La Stampa»).
L’indagine deve essere condotta con prudenza. Ademaro era un potente imprenditore, incensurato e con amicizie politiche e anche l'avvocato di famiglia è una donna influente, presente nei media. Stavolta nemmeno l’opera lirica, che da sempre lo ispira nella soluzione dei casi, sembra venire in soccorso a Spinori: «Per lui la morte è sempre, soprattutto nel caso dei delitti, uno spreco ingiustificabile. Gli omicidi spesso sono commessi in modo stupido per delle ragioni trascurabili, anche se possono apparire profonde e urgenti a chi commette il delitto, ma costituiscono un'autentica offesa al creato" [...] Le sue qualità migliori sono la tenacia, la pazienza e l'ironia. Con l'esperienza s'è convinto che c'è più autenticità, sincerità e verità nelle passioni rappresentate sul palcoscenico che in quelle urlate nella vita reale, che nascondo solo la banalità del male» (Giancarlo de Cataldo, intervistato da Francesco Mannoni «Il Mattino»).
Con Un cuore sleale, già in via di traduzione in Francia per Métailié, De Cataldo ha creato una storia intensa e coinvolgente ambientata in una Roma fredda e umida in cui Spinori si ritrova solo: una condizione troppo malinconica anche per un appassionato del melodramma come lui. Ma ideale per concentrarsi su un mistero che pare un autentico «giallo della camera chiusa».