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Dopo Io sono il castigo e Un cuore sleale, esce la terza indagine del magistrato melomane Manrico Spinori, il primo protagonista seriale di Giancarlo De Cataldo: «Un personaggio del tutto inedito disegnato dal Maestro De Cataldo, autore che potremmo definire dalla penna d'oro […] conte in virtù delle ascendenze aristocratiche, è sicuramente uno dei più riusciti» (Gabriella Genisi, «tuttolibri – La Stampa»).
In questa vicenda, una frase buttata lí da un pentito, all’apparenza in modo casuale, produce un piccolo terremoto in procura. Perché a dar retta a er Farina – spacciatore con contatti importanti nella malavita organizzata – dieci anni prima il dottor Spinori non aveva fatto un buon lavoro occupandosi dell’assassinio di Veronica, escort transessuale d’alto bordo. Del delitto era stato accusato un uomo che, a causa dello scandalo, si era tolto la vita.
«Attraverso un'indagine raccontata con i toni garbati della commedia italiana il lettore viene condotto nella zona grigia del mondo di mezzo, delle connivenze tra mafia e colletti bianchi ma soprattutto, in un unicum per la letteratura poliziesca, si renderà conto del lavoro di squadra che coinvolge magistratura, polizia, carabinieri e guardia finanza, oltre che dell'importanza dei dettagli. Perfino di un vassoio di cannoli siciliani» (Gabriella Genisi, «tuttolibri – La Stampa»).
Nonostante le prove schiaccianti, dopo le parole di er Farina, tutto torna in discussione. Un colpo al cuore per un magistrato attento come Manrico, che diventa ombroso e, nel generale scetticismo, riapre le indagini, scoprendo un intrigo di cui nessuno poteva sospettare. Questa volta avrà bisogno della sua squadra, un affiatato gruppo di formidabili investigatrici che, per l’occasione, registra anche un nuovo ingresso.
«Al solito De Cataldo sfoggia un solidissimo mestiere. I dialoghi sempre credibili e pieni di sprazzi gergali sono il frutto dell'esperienza di uno sceneggiatore consumato. La struttura è colma di informazioni potenti e concrete sui meccanismi investigativi e giudiziari. I legami col melodramma, precisi e sorprendenti, ci rammentano che non esiste alcuna delittuosa situazione che non sia stata evocata e narrata da un'opera. E il romanzo brilla di un bel timbro da giallo all'italiana, definito da una relazione stretta con la vivida realtà territoriale e dalla presenza delle maschere più riconoscibili e significative della nostra eterna commedia dell'arte. Applausi» (Leonetta Bentivoglio, «la Repubblica»).
Klara e il Sole è il nuovo romanzo di Kazuo Ishiguro, il primo dopo il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura. «Dopo Quel che resta del giorno e Non lasciarmi, Ishiguro firma un altro capolavoro (parola rischiosa, ma stavolta è il caso di sbilanciarsi). Opera visionaria ed elegiaca di bellissimo spessore […] Il libro conquista per limpidezza dello stile, profondità delle implicazioni esistenziali e stratificazione dei livelli narrativi. Di volta in volta il grande gioco di Ishiguro si esprime in cenni, trasparenze e piccole dosi» (Leonetta Bentivoglio, «la Repubblica»).
Seduta in vetrina sotto i raggi gentili del Sole, Klara osserva il mondo di fuori e aspetta di essere acquistata e portata a casa. Promette di dedicare tutti i suoi straordinari talenti di androide B2 al piccolo amico che la sceglierà. Gli terrà compagnia, lo proteggerà dalla malattia e dalla tristezza, e affronterà per lui l’insidia piú grande: imparare tutte le mille stanze del suo cuore umano.
Josie è una bambina fragile, pallida, insicura nel camminare e afflitta da un male oscuro; la sceglie, è Lei quella che vuole e la porta nella sua casa luminosa, dove si vede il Sole che tramonta. E quando la malattia di Josie colpisce più duramente, Klara sa che cosa fare: deve trovare colui da cui ogni nutrimento discende e intercedere per la sua protetta, anche a costo di qualche sacrificio; deve impegnarcisi anima e corpo, come se anima e corpo avesse.
«In effetti il libro parla soprattutto di emozioni e relazioni. S'interroga sui rapporti e i sentimenti in un contesto modificato dalla scienza e dalla tecnologia. Si può sostituire una persona che muore per evitarci il dolore della perdita? Un individuo è unico negli algoritmi e in altri dati? Se lo è, in che modo questo trasformerà la nostra affettività? Come cambierà l'amore, qualora potessimo trasferire un essere su una banca dati? Sono le questioni che ho voluto porre attraverso gli occhi di Klara e della sua innocenza» (Kazuo Ishiguro intervistato da Leonetta Bentivoglio, «la Repubblica»).
Il nuovo romanzo di Ishiguro «ha una sua specifica qualità geologica: si parte da uno strato superficiale, vestito da futuribile, e si scava verso un centro antico quanto il pensiero dell'uomo su se stesso: che cosa, in ultimo, ci rende umani? Ishiguro non lo dice mai forte, però leggendolo lo si intuisce un po' ovunque: amare ed essere amati» (Laura Pezzino, «tuttolibri – La Stampa»).
In una mattina di dicembre il capitano del Chiwi, l’imponente yacht dell'imprenditore Ademaro Proietti, ha lanciato l'allarme: «Uomo in mare». È proprio il proprietario ad essere scomparso, non si è presentato a colazione, il letto della sua cabina è intatto. Quando il mare di Ostia restituisce il cadavere di Ademaro, la prima ipotesi è che l’uomo sia annegato in seguito a una disgrazia. Eppure c’è qualcosa che non torna, un piccolo indizio che potrebbe richiedere per l’episodio una spiegazione diversa.
Ad indagare viene mandato il magistrato melomane Manrico Spinori, primo personaggio seriale nato dalla penna di Giancarlo De Cataldo. Insieme a lui «riecco il team delle collaboratrici del pm, Deborah Cianchetti, Gavina Orru e Sandra Vitale. Per fortuna: era bastato un romanzo per farci venire voglia di ritrovarle» (Alberto Mattioli, «tuttolibri – La Stampa», link).
Sullo yacht, che tornava da Ponza, c'erano sette persone: il capitano, un marinaio, lo scomparso i suoi tre figli, il genero. Il corpo del palazzinaro non è ancora corroso dal mare né deturpato dai gabbiani. Ha però una sospetta lesione alla testa. Da qui parte un «giallo d'atmosfera, nella migliore tradizione del genere» che, secondo Maurizio Crosetti, si trasforma in un «giallo psicologico, dove il garbuglio di possibili moventi rivela tutta la sporcizia cacciata sotto il tappeto per decenni, comprese le turpi origini della fortuna del palazzinaro ucciso, il cui padre se la faceva con i nazisti» (Maurizio Crosetti, «la Repubblica»).
De Cataldo «non si limita a regalare al lettore un giallo impeccabile per meccanica, scrittura e descrizione d'ambienti, un mondo romano altoborghese ma sostanzialmente cafone. Sommessamente, com'è nello stile suo e del suo pm, lancia frecce sottili ma per questo ancora più acuminate contro l'horror che ci circonda, la violenza verbale e la miseria intellettuale dei social, il giustizialismo isterico, i processi celebrati dai media invece che nei tribunali, la volgarità di modi e mode. Rivendicare il valore e magari pure la bellezza delle infinite tonalità di grigio in un mondo che vede solo il bianco e il nero non è poco. L'understatement, l'ironia, la signorilità diventano allora una forma di resistenza al Grande Chiasso che ci assedia, un argine precario ma prezioso alle colate di guano che tracimano ovunque, un piccolo spazio personale di sopravvivenza nella gara a chi urla più forte, e generalmente delle sciocchezze. Come quando Spinori si chiude nel suo studio, indossa un vecchio kimono e si abbandona alla bellezza di un'opera lirica» (Alberto Mattioli, «tuttolibri – La Stampa»).
L’indagine deve essere condotta con prudenza. Ademaro era un potente imprenditore, incensurato e con amicizie politiche e anche l'avvocato di famiglia è una donna influente, presente nei media. Stavolta nemmeno l’opera lirica, che da sempre lo ispira nella soluzione dei casi, sembra venire in soccorso a Spinori: «Per lui la morte è sempre, soprattutto nel caso dei delitti, uno spreco ingiustificabile. Gli omicidi spesso sono commessi in modo stupido per delle ragioni trascurabili, anche se possono apparire profonde e urgenti a chi commette il delitto, ma costituiscono un'autentica offesa al creato" [...] Le sue qualità migliori sono la tenacia, la pazienza e l'ironia. Con l'esperienza s'è convinto che c'è più autenticità, sincerità e verità nelle passioni rappresentate sul palcoscenico che in quelle urlate nella vita reale, che nascondo solo la banalità del male» (Giancarlo de Cataldo, intervistato da Francesco Mannoni «Il Mattino»).
Con Un cuore sleale, già in via di traduzione in Francia per Métailié, De Cataldo ha creato una storia intensa e coinvolgente ambientata in una Roma fredda e umida in cui Spinori si ritrova solo: una condizione troppo malinconica anche per un appassionato del melodramma come lui. Ma ideale per concentrarsi su un mistero che pare un autentico «giallo della camera chiusa».
Nel nuovo romanzo di Nesbø protagonisti sono due fratelli, Roy e Carl. Roy vive da solo, da anni, in un paese della Norvegia, nella casa di famiglia; gestisce una stazione di servizio, è un uomo taciturno ma capace nel suo mestiere. Carl, il fratello adorato, sempre protetto, presente in tutti i suoi ricordi, se ne è andato quindici anni prima. Ora è inaspettatamente tornato con il grandioso progetto di costruire un hotel e trasformare il paese in una località turistica.
Il suo arrivo però risveglia ricordi, rancori, sospetti e invidia; riemerge un segreto di famiglia che giaceva nascosto nell'animo di entrambi. Roy si trova di nuovo a doverlo difendere dall’ostilità e dai sospetti degli altri, deciso a non far riaffiorare i fantasmi del passato.
Non c’è l’amato Harry Hole dunque, ma il maestro del crime scandinavo ha dato vita a un thriller sulle menzogne, i segreti, i tradimenti nascosti dietro la rassicurante facciata della vita familiare. Per Stephen King è animato da «una tensione fortissima ed è davvero originale. Un libro speciale da tutti i punti di vista».
In un’appassionata recensione su «Robinson – la Repubblica», Claudia Morgoglione descrive Il fratello come «una storia libera da tentazioni politiche e sociali, che per la sua potenza narrativa appassionerà sicuramente i nesbiani duri e puri […] Qui le cose sono diverse. Perfino nel dipanarsi della violenza: lenta, lentissima, in apparenza assente per lunghi tratti del racconto. Ed è per questo che II fratello conquisterà anche chi nesbiano non lo è mai stato: meno stilemi di genere, più viaggio al termine di una notte piena di incubi».
Come ha raccontato lo stesso Nesbø a «The Independent» (link) attraverso questo romanzo, l’autore ha fatto i conti col proprio passato, con la forza dei legami tra fratelli, con l’insidia dei segreti trasmessi da una generazione all’altra. Scrivere storie è il suo modo per affrontare dubbi e fantasmi, trasformando il passato in qualcosa di nuovo.