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Campo dei Fiori
«Tra il 1888 e il 1889 attorno a Campo dei Fiori si concentrarono le speranze
e i timori di gran parte degli italiani che videro nella statua di
Giordano Bruno il simbolo supremo della libertà o della peggiore delle
maledizioni, del riscatto o della vergogna, di un'Italia fieramente laica
e anticlericale o di un'Italia priva di ogni valore morale e principio
di civiltà».
Massimo Bucciantini, Campo dei Fiori
Il libro
I cattolici piú intransigenti le cambiarono persino il nome. Dopo quanto accadde la mattina del 9 giugno 1889 chiamarono quella piazza non piú Campo dei Fiori ma Campo Maledetto. E nelle loro intenzioni sarebbe rimasta tale fino al giorno in cui al posto del “monumento infame” non sarebbe sorta una cappella di espiazione al Cuore Santissimo di Gesú. Questo libro è il racconto drammatico di un conflitto durato la bellezza di tredici anni, tanti ne occorsero per erigere quella statua. Un burrascoso affresco che trovò linfa vitale nelle passioni di studenti innamorati di Bruno e Mazzini, di Garibaldi e Oberdan, e decisi a mettere in pratica un disegno radicale che in breve tempo si trasformò in una seconda Porta Pia. Ma Campo dei Fiori è anche il capitolo di una storia piú grande, che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento è scandita dalle battaglie per l’emancipazione femminile e il suffragio universale, per la cremazione e l’abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole e della pena di morte. Sono trascorsi 125 anni dall’inaugurazione della statua, e oltre quattro secoli da quando, all’alba di un giovedí di febbraio, a dorso di mulo, Giordano Bruno venne trasportato in quella piazza, e lí legato a un palo e bruciato vivo.
Campo dei Fiori è una biografia: la biografia di una statua. Ma è anche un libro sull’Italia, sulle tante debolezze del fronte laico e sulla ostinata chiusura a ogni idea di modernità presente nella Chiesa cattolica di allora. È l’avvincente ricostruzione di una lotta politica che ebbe numerosi protagonisti: il movimento studentesco romano, Francesco Crispi e la massoneria, Ettore Ferrari e Giovanni Bovio, papa Leone XIII e i gesuiti della «Civiltà Cattolica», Francesco De Sanctis, Antonio Labriola, Giuseppe Garibaldi. E anche un certo Armand Lévy, di professione rivoluzionario, ex comunardo, esule, ebreo e socialista, sconosciuto ai piú, ma che svolse un ruolo decisivo nella fase preparatoria del monumento. Si trattò di una vera e propria battaglia laica e anticlericale: una delle poche combattute nel nostro Paese e che è giusto non dimenticare. Non tanto per celebrarla quanto per conoscerla, anzi forse è meglio dire per decifrarla: attraverso la comprensione di uno scontro che fu violentissimo e dei tentativi compiuti per disinnescarlo, come delle alleanze e degli opportunismi che di volta in volta furono messi in campo per vincere la partita o per rinviarla per sempre.