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Moderne icone di moda
Fu un meccanismo irresistibile quello che si mise in moto quando sei
personaggi-chiave dell'immaginario della modernità incrociarono i loro
destini con quelli della fotografia.
Da quando cioè uno strumento tecnologico, un po' freddo e impersonale,
automatico e impassibile, fece intravedere a questi inguaribili narcisisti
un suo lato originale e seducente: dalle sedute di posa negli atelier
dei fotografi, dai ritratti privati scattati da professionisti, amici o
amanti, poteva scaturire il sogno dell'immortalità idealizzata. E quel sogno
d'immortalità poteva per la prima volta essere comunicato, amplificato,
esteso all'infinito, a tanti potenziali occhi di ammiratori, fans,
adoratori. Primo mezzo utile per la costruzione del mito di massa, tra
Otto e Novecento la fotografia sanciva infatti la possibilità di autocelebrarsi
in un'immagine riconoscibile, quella della celebrity: una moderna
icona di moda.
Il nero assoluto degli abiti di Charles Baudelaire, l'etnico african-style
di Nancy Cunard, la trasgressiva sensualità di Vaslav Nijinsky, l'androgino
lesbo-chic di Annemarie Schwarzenbach, sono solo alcune di queste
ossessioni personali e esistenziali che fotograficamente costruirono
un'identità sociale che fu imposta per sempre e visivamente al pubblico
e alla memoria collettiva.
Solo nella nuova società dei consumi di massa e nelle nuove città abitate
dall'uomo fotografico poteva nascere il prototipo del divo moderno.
Il libro
«Le sette fashion mass icons qui indagate sembrano esemplificare alcuni punti chiave dell’estetica del modernismo e insieme le prime attestazioni vestimentarie o comportamentali di idee della moda che ancor oggi tornano ciclicamente. L’icona e Cléo de Mérode, la ballerina francese che sperimenta in modo aurorale cosa significa essere uno stereotipo visivo popolare di massa imprigionato in un cliché da riprodurre come merce. La poesia e Charles Baudelaire, l’interprete speciale della monocromia luttuosa del nero, il soggetto tra i piú celebri dell’obiettivo fotografico dell’amico Nadar che sfida il pubblico futuro indossando tragiche maschere ironiche. La danza e Vaslav Nijinsky, l’angelo volante dei Balletti russi immortalato da sir Adolf De Meyer nella sua tuta da fauno, un condensato esplosivo di trasgressione erotica ed esotica, il sogno dell’evasione proibita e della diversità sensuale che si fa album e manifesto pubblicitario. Il postcolonialismo e Nancy Cunard, la scrittrice ribelle e anticonformista che porta nell’arte e nella vita il credo dei negrophiles, e che per imporlo e solidificarlo anche visivamente si fa fotografare da Man Ray con i bracciali-feticcio africani che le ricoprono le lunghe e magre braccia. Il gender-crossing di Annemarie Schwarzenbach, la piccola svizzera che tramite la fotografia di reportage cerca un posto nel mondo, ma che sa anche usare la fotografia per concedersi in immagini indimenticabilmente chic, finalizzate alla costruzione di un’identità non convenzionale e alla diffusione di un abbigliamento androgino che è una dichiarazione e una scelta di genere. Il conformismo e D’Annunzio, lo scrittore e poeta che combatte con versi e imprese la mediocrità borghese e la banalità del normale, che crea vesti magiche e immaginifiche per le sue ospiti notturne, ma che nel suo personale guardaroba del Vittoriale non rinuncia all’eleganza snob dettata dalla moda delle élite cui vuole appartenere, paradossale perché insopprimibile necessità, per il cantore del monito all’audere semper, di omologarsi ai cliché dello stile del potere».