Giulio Einaudi editore

L’immortale

Storia di un uomo vero
Copertina del libro L’immortale di Olga Slavnikova
L’immortale
Storia di un uomo vero
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Da una delle più promettenti scrittrici della Russia contemporanea, un'esplorazione del tempo e della morte, una geniale riflessione, condita di gogoliana ironia, sulle contraddizioni della Russia moderna, e una grandiosa ricerca della sua «autenticità» perduta.

2006
L'Arcipelago Einaudi
pp. 186
€ 11,80
ISBN 9788806169602
Traduzione di

Il libro

Russia, anni Novanta: in un angolo remoto degli Urali un televisore continua a trasmettere immagini di un’altra storia, in cui il comunismo non è mai finito e ancora si celebrano i congressi del Pcus.
Il destinatario di queste immagini è Aleksej, un veterano della seconda guerra mondiale, che un ictus ha trasformato in «un articolo difettoso della morte», un essere chiuso senza via d’uscita nel proprio corpo. Decise a conservare «la sostanza dell’epoca», Nina, la moglie, e Marina, la figlioccia, vivono in bilico tra l’ipocrisia e l’arrivismo della nuova Russia, e il sicuro, immobile tempo che ristagna nella camera da letto del veterano. Aleksej diventa così il centro di una dimensione in cui il presente non accade e il passato non passa più. Eppure, sembra dire il protagonista dal chiuso della sua prigione, forse la realtà, quella esterna, bisogna alla fine affrontarla come è. Al punto da reclamare anche il proprio diritto alla morte, che avendo lasciato l’opera a metà lo ha reso un immortale per caso.

«Nessuno poteva dire con certezza se la messinscena ingannasse o meno il malato; Nina percepiva però un certo assenso, una parvenza di gesto affermativo nelle figure inviate dal cervello asimmetrico di lui. Certo poteva anche darsi che Aleksej, pur non amando ma reputando giusto che la sua piccola famiglia lo compiacesse, fosse semplicemente soddisfatto degli sforzi, dello scompiglio teatrale elaborato attorno alla sua malattia. Tuttavia questi pseudo-avvenimenti, questi parassiti illusori pian piano assunsero un potere sempre maggiore sui Charitonov e cominciarono a nutrirsi della famiglia stessa. Fu come uno spostamento di punto di vista, che rivelava almeno due paesaggi in uno solo. A volte Nina era spaventata dalla netta sensazione che i funerali di Breznev fossero in realtà un inganno o un film montato da qualcuno, che gli anni si dividessero come prima in piani quinquennali e che il Paese, insieme con le industrie pesanti, continuasse a costruire nei suoi cieli un comunismo già pronto per metà, già riflesso nei tetti. Certo, lei poteva uscire di casa e vedere i cambiamenti…»