Giulio Einaudi editore

Infanzia berlinese

intorno al millenovecento
Copertina del libro Infanzia berlinese di Walter Benjamin
Infanzia berlinese
intorno al millenovecento
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«Non sapersi orientare in una città non significa molto. Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta».

2007
Letture Einaudi
pp. 154
€ 17,00
ISBN 9788806188504
A cura di
Contributi di
Postfazione a cura di

Il libro

Un’autobiografia anomala, una sorta di mosaico in cui Benjamin condensa le esperienze e la topografia della propria infanzia, ridando anima ai sogni, facendo rivivere le ore e i luoghi di magia, e al contempo gli angosciosi presentimenti di un bambino ebreo nella Berlino dell’epoca. Benjamin scava nell’infanzia, negli strati nascosti, perduti della vita per riattivare quella “promessa di felicità” che è patrimonio di ogni essere umano, senza tuttavia dimenticare che questa possibile felicità è perennemente esposta ai venti della storia. Un testo che ha svelato Benjamin come grande scrittore, oltre che pensatore e intellettuale.

Infanzia berlinese consiste di miniature che evocano singole strade, persone, oggetti, intérieurs. Non c’è dubbio che chi si accinge a scrivere cose di questo tipo è, come Proust, di cui Benjamin fu traduttore, alla ricerca del tempo perduto. Ma il tema di Proust e quello di Benjamin sono davvero lo stesso? Le loro ricerche del tempo perduto perseguono il medesimo obiettivo? Proust cerca il passato per sfuggire al tempo, e ciò significa soprattutto: al futuro, ai suoi pericoli, alle sue minacce, la cui minaccia estrema è la morte. Benjamin, al contrario, nel passato cerca il proprio futuro. I luoghi a cui lo riconduce il suo rammemorare hanno quasi tutti «i tratti dell’avvenire». E non è casuale che il suo ricordo colga una figura dell’infanzia «nel ruolo del veggente che predice il futuro». Proust presta attenzione al risuonare del passato, Benjamin a ciò che anticipa un futuro che, nel frattempo, è diventato a sua volta passato. A differenza di Proust, Benjamin non vuole liberarsi della temporalità, non vuole osservare le cose nella loro essenza astorica ma aspira all’esperienza e alla conoscenza storica.

Dal saggio di Peter Szondi

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