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Hammerstein o dell’ostinazione
Kurt von Hammerstein-Equord era il capo di stato maggiore dell'esercito tedesco quando Hitler prese il potere: non tardò a capire quali erano le vere intenzioni del nuovo cancelliere, si dimise e sino alla sua morte nel 1943 fu il punto di riferimento di quell'opposizione al nazismo che, dopo lenta maturazione, condusse all'attentato del 20 luglio 1944.
Il libro
Hans Magnus Enzensberger ricrea sulle pagine una vita e una personalità fuori dal comune, unendo a una appassionata narrazione la sensibilità critica dello storico.
La sera del 3 febbraio 1933, a Berlino ebbe luogo una cena a suo modo storica: Adolf Hitler incontrò per la prima volta nella sua veste di neo-cancelliere i maggiori esponenti della Reichswehr. Fra questi, discendente di un’antica famiglia aristocratica, il generale Kurt von Hammerstein-Equord, che durante la Repubblica di Weimar aveva fatto una brillante carriera sino a diventare – nel 1930 – capo di stato maggiore dell’esercito tedesco. Un uomo di destra, che considerava Hitler un confusionario (lo aveva incontrato per la prima volta a metà degli anni Venti) non particolarmente pericoloso.
Nel corso della cena, tuttavia, il Führer espose senza mezzi termini quali erano i suoi veri obiettivi: instaurazione di una dittatura all’interno del paese, ricerca di «spazio vitale» a oriente. E specificò persino quando avrebbe avuto inizio la guerra. Il discorso di Hitler fece radicalmente cambiare opinione a Hammerstein che un anno dopo rassegnò le dimissioni: da quel momento in poi divenne – pur fra prudenze, contraddizioni e nella più assoluta segretezza – il punto di riferimento della resistenza anti-hitleriana che condusse al fallito attentato del 20 luglio 1944. Il generale però a quel punto era già morto da un anno: durante il funerale, accanto alla bara venne deposta l’enorme corona inviata da Hitler: il nastro, che recava il suo nome, era stato però «dimenticato» in metropolitana dai familiari.
La moglie e i sette figli sono gli altri protagonisti di questa straordinaria vicenda non solo tedesca: i maschi sono tutti coinvolti in forme di resistenza, vivono in clandestinità, le figlie si legano al Partito comunista (un verbale della famosa cena dopo tre giorni era già in mano dei sovietici), divengono pedine dei servizi segreti, restano invischiate nelle purghe staliniane.
Accostando narrazioni, «chiacchierate» postume con i protagonisti, commenti su fatti storici, documenti d’archivio in gran parte inediti, Hans Magnus Enzensberger in Hammerstein torna a una forma letteraria che all’inizio degli anni Settanta con La breve estate dell’anarchia sancì ovunque la sua fama.
«Un libro sull'”ostinazione”, sulla volontà di seguire la propria strada, un libro senza eroi, ma non privo di atti eroici e gesti – anche minimi – di resistenza. Di un autore che non pretende di conoscere la verità ma nel porsi decisamente sulle sue tracce ha scritto un libro incredibilmente ricco di tensione».
«Frankfurter Allgemeine Zeitung»