Giulio Einaudi editore

Un percorso a zigzag

Copertina del libro Un percorso a zigzag di Anita Desai
Un percorso a zigzag
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«Gli antichi cinesi ritenevano che il tempo non fosse una scala che si sale verso il futuro bensì una scala che si scende verso il passato».

2007
L'Arcipelago Einaudi
pp. 188
€ 12,50
ISBN 9788806175269
Traduzione di

Il libro

Per il protagonista di questo nuovo romanzo di Anita Desai, un viaggio intrapreso per caso in un momento di crisi esistenziale diventa un meticoloso percorso alla scoperta di sé e delle proprie origini. La scrittrice indiana, con la sua scrittura sensuale ed esatta, compone una partitura in quattro movimenti, ognuno dei quali corrisponde a un momento del viaggio di Eric in uno spazio che trova nella memoria il suo unico confine. E proprio per progressivi aggiustamenti della memoria il protagonista si fa strada da Cambridge, Massachusetts, dove vive, al Messico, alla Cornovaglia degli antenati paterni e di nuovo al Messico, in un percorso dove la nozione di spazio si confonde con quella di tempo. Scanditi, l’uno e l’altro, da chilometri di ricordi, e interrotti, l’uno e l’altro, dalle lacerazioni che la storia provoca sul fragile tessuto delle storie individuali. Anita Desai ripropone in questo libro un tema che ritorna in tutta la sua opera, quello del rapporto con il passato, con gli antenati, con la storia che condiziona e plasma i destini dei singoli. Qui, dando la parola ai defunti, sfida le amnesie del nostro tempo, riporta in superficie i sotterranei percorsi a zigzag su cui è fondata la modernità e restituisce colore alle cancellature apportate sulla mappa del mondo.

Anna Nadotti

«Ogni giorno cavalcava da sola per miglia e miglia imparando a sopportare il sole, la sete e la solitudine. Cavalcava sulla mesa dove un forestiero avrebbe potuto perdersi facilmente nell’informe monotonia del pietrame e imparò che essa aveva lineamenti e contorni per chi sapeva guardare. C’erano ruscelli invisibili, segnati solo da occasionali macchie di pioppi ricurvi e di alberi di ahuehuete, e qualche villaggio isolato con capanne di adobe dal tetto piatto dove i cani abbaiavano vedendola passare e le donne smettevano di pesare il mais o strofinare la biancheria nelle tinozze per rivolgerle sguardi silenziosi. Intorno ai villaggi correvano staccionate di steli di frumento secco che sembravano mormorare e brontolare in una lingua che dovette apprendere».

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