Giulio Einaudi editore

Il lamento del bradipo

In cui si narra la storia perlopiù tragica di Andrew Whittaker, ovvero la raccolta completa e definitiva dei suoi scritti
Il lamento del bradipo
In cui si narra la storia perlopiù tragica di Andrew Whittaker, ovvero la raccolta completa e definitiva dei suoi scritti
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La storia struggente, di chapliniana semplicità, di Andrew Whittaker, tenero e inguaribile fabbricante di illusioni.

2009
Stile Libero Big
pp. 250
€ 17,50
ISBN 9788806195854
Traduzione di

Il libro

Andrew Whittaker è indebitato fino al collo, la rivista letteraria che dirige è a un passo dalla bancarotta, la casa in cui vive cade a pezzi e la moglie lo ha lasciato. Andrew però non molla. È una fucina di idee e di progetti. Forse anche illusioni e velleità. E scrive, forsennatamente, a chiunque. Poi raccoglie tutto. Un presente e un passato di sogni, ideali e rimpianti emerge dagli stralci del suo strampalato epistolario: lettere di rifiuto ad aspiranti scrittori, missive alla ex moglie, ordini a ditte incaricate di rifare i soffitti di casa, richieste di sfratto, annunci di appartamenti in affitto, appunti, cose pensate, bozze di racconti, pezzi di un romanzo, lettere alla madre, post scriptum per la badante della madre, pagine di diario, liste della spesa, cartelli per gli inquilini del palazzo, ancora lettere, ancora pensieri, ancora cartelli…
Ne esce l’impossibile catalogo di un amabile perdigiorno.
O, meglio, di un nevrotico e coscienzioso archivista del tutto e del nulla in cui siamo immersi.

«Laggiú dove? mi chiedi, e fai bene. In fondo, il nocciolo della questione è che bisogna arrivare da qualche parte, altrimenti perché partire?
Ed è proprio questa la domanda che continuo a pormi. Perché partire? Potrei anche rimanere dove sono, sul mio divano o sulla sdraio, se mi va, o sull’erba del parco. Ma presto farà troppo freddo, e allora invece dell’erba al parco ci sarà la neve. Questo pensiero mi induce a domandarmi se non farei meglio a rimandare la partenza di un mese o due, per potermi sdraiare sulla neve del parco. Sopra di me, le stelle saranno puntini di luce gelida nella limpida oscurità del cielo invernale. I rami delle querce saranno ancora piú scuri. È ovvio che lí, tra la neve, mi balenerà l’idea di un altro viaggio, ma non mi lascerò tentare. Mi conosco abbastanza bene da supporre che non rimarrò fuori cosí a lungo, non quanto basta per andarsene davvero. No, suppongo che starò fuori solo quanto basta per prendermi un brutto raffreddore. L’unica ricompensa ai miei sforzi sarà una decina di giorni di moccolo al naso e Kleenex inzuppati. Tuttavia so pure che in realtà è solo l’enorme attrazione che l’avventura ha sempre esercitato su di me a irretirmi fino a farmi immaginare che sarò in grado di arrivare a quel punto. La verità è che probabilmente non riuscirò nemmeno a uscire dalla porta. L’aprirò, in casa entrerà una folata d’aria fredda, e questo sarà sufficiente a dissuadermi. Rabbrividirò e penserò: non adesso».

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