Giulio Einaudi editore

Wiera Gran

L'accusata
Wiera Gran
L'accusata
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«"Aiuto!! La cricca di Szpilman e Polanski vuole uccidermi! AIUTO!!!"
Aveva scritto le parole in inchiostro rosso sulla parete del corridoio: grandi, in stampatello, con mano decisa. Probabilmente era salita su una sedia o si era sforzata di arrivarci con il braccio, teso al massimo. Apportò numerose modifiche. Aggiunte: "pianista", "il mio accompagnatore", "si passano mazzette", "si tengono bordone"...»

Agata Tuszynska, Wiera Gran. L'accusata

***

«Un libro eccezionale per il suo furore, per il ritratto di una donna spezzata dalla vita».

«Elle»

2012
Frontiere
pp. 336
€ 20,00
ISBN 9788806209704
Traduzione di

Il libro

Varsavia, 1941. Wiera Gran era la cantante piú bella, la voce piú sensuale e conturbante, la stella piú lucente degli ultimi locali rimasti aperti nel ghetto. Al piano l’accompagnava Wladyslaw Szpilman, il «pianista» del film di Polanski: entrambi sopravvissero alla guerra e all’Olocausto, ma lei fu accusata di collaborazionismo. Voci infamanti – alimentate anche dal silenzio di Szpilman – che la perseguiteranno per tutta la vita, condannandola a un malinconico tramonto nella follia. Ma cosa successe in quei giorni tra le mura del ghetto? E possiamo credere a Wiera quando giura di aver visto proprio Szpilman vestito da poliziotto al servizio dei nazisti trascinare una donna verso il treno della deportazione?
Il racconto di una vita e di un personaggio indimenticabili, una storia vera e sconvolgente.

Un piccolo appartamento buio, pieno di documenti, oggetti di scena, fotografie. Una donna anziana che vi si nasconde, come in un bunker o in una prigione: protetta e allo stesso tempo imprigionata dalle mura dei suoi ricordi.
Quella donna, ormai devastata nel corpo e nella mente, è Wiera Gran. Sembra impossibile a guardarla adesso, ma è la stessa persona che, giovane e bellissima, l’osserva dalle fotografie che tappezzano le pareti della casa. Era una cantante.
Varsavia, 1941. Anche durante l’occupazione, gli ebrei del ghetto tentano di tenere in piedi una parvenza di vita, qualcosa che renda meno insopportabile la realtà della segregazione, le quotidiane violenze, lo spettro incombente dello sterminio. Alcuni caffè sono rimasti aperti e tra questi lo Sztuka è il più elegante, il più ricco, quello dove si riunisce sia l’intellighenzia del ghetto sia i personaggi più ambigui: quelli che avevano ancora soldi da sperperare, denaro fatto chissà come, forse collaborando con i tedeschi. Allo Sztuka suona Wladyslaw Szpilman, il “pianista” protagonista del film di Polanski: ma all’epoca Szpilman era un semplice accompagnatore, una spalla. La vera stella, l’artista che faceva riempire il locale, era lei, Wiera Gran.
Entrambi, a differenza delle loro famiglie, dei loro parenti e amici, sopravvivranno alla guerra e alla Shoa. Eppure il destino che li attende è molto diverso: la memoria di Wiera verrà letteralmente rimossa dalla storia e lei accusata di essere stata una collaborazionista. Di avere avuto rapporti con il famigerato “Tredici”, l’ufficio della polizia ebraica manovrata dai nazisti. Accuse infamanti – alimentate anche dal silenzio di Szpilman – che la perseguiteranno per gli anni a venire, condannandola a un esilio perpetuo, trasformata in un’autentica ebrea errante, un capro espiatorio cacciato da ogni paese, ogni comunità in cui proverà a farsi accogliere. Fino all’ultima destinazione: la follia.
Ma cosa è successo realmente in quegli anni – dal ’41 al ’42, quando riuscì a fuggire – nel ghetto? È possibile ricostruire la quotidianità di quell’ambiente inumano? Quanti cassetti bisogna aprire per trovare la verità di Wiera Gran? Come distinguere le certezze storiche dalla labilità di ricordi resi ancora più fragili dal rimorso? E se, in quelle condizioni, su piccola o larga scala, per un giorno o per la vita, fossero stati tutti collaborazionisti?
Quella che Agata Tuszynska porta alla luce, facendocela raccontare dalla viva voce di Wiera, è una storia vera eppure così incredibile che sembra uscita dalla tormentata fantasia di un qualche grande scrittore della tradizione ebraica. Un apologo universale sulla memoria, la colpa, la sopravvivenza.

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