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Lettera di dimissioni
«Io non dico che ci abbiamo creduto. Ma dico che
c'è stato un istante almeno, in cui il dolore collettivo
si sospendeva. E allora entrava la speranza».
Vivere per Clelia è un gesto intero, che comprende
il passato e il futuro, l'amore e l'ambizione, il volere
e il potere. Clelia ama il teatro, ama Gianni,
ama la città furiosa in cui è nata: ma più occasioni
la vita le offre, più si allontana la forza piena
delle sue passioni.
Gradino dopo gradino, giù per la scala inesorabile
del male minore, sente avvicinarsi pericolosamente
un'immagine di sé che non le piace affatto.
Una storia viva, politica e forte, su cosa significa
mettersi in gioco in Italia oggi. «Era stato là che qualcosa
si era rotto e insieme qualcosa cominciava».
Il libro
Scendendo a capofitto per i rami delle generazioni, Clelia riesce a trovare il suo posto sull’asse del tempo: ha una data d’inizio, il 1914, e persino una capostipite, la nonna Franca, giunta dalla Russia a Napoli, «la città più infernale del Mediterraneo», e a Napoli rimasta.
Innamorata della vita, ricca di passione e di ideali, Clelia cresce con i piedi piantati nella provincia e lo sguardo rivolto alla città. I suoi genitori – comunisti come si poteva essere comunisti in Italia nel 1968 – hanno scelto di vivere a Pompei, tra le falde del Vesuvio, il mare e le rovine archeologiche.
Quando Clelia incontra Gianni non ha dubbi su cosa fare: insieme trovano quarantadue metri quadri in cui sostenersi «l’un l’altra come due carte da gioco poggiate in piedi». Per mantenersi lavora come maschera in un teatro, e proprio in teatro farà presto carriera.
Appagata dal successo e dalla stima crescente di chi appena una manciata di anni prima lei stessa guardava con sospetto, Clelia sembra non accorgersi – di fronte ai bivi dettati dal lavoro e dagli affetti – di scegliere sistematicamente il «male minore». Quando però cominceranno «quelle notti insonni che capitano a chi è in continuo commercio con l’esistenza», sarà forse troppo tardi per rendersi conto che qualcosa si è incrinato: «e dicevo sì, quando sapevo che la risposta era no».
Il nuovo romanzo di Valeria Parrella ha l’energia e il coraggio delle storie necessarie. Unendo i temi civili dei suoi primi racconti alla lingua alta conquistata con Lo spazio bianco, l’autrice dà forma a una vicenda che ci riguarda tutti. La storia di Clelia procede di pari passo con quella dell’Italia, e ci restituisce il ritratto di un Paese che ha progressivamente rinunciato al pubblico per il privato, all’etica per il guadagno, ma che con ostinazione ciascuno di noi continua ad amare «come si amano solo le cose che vengono prima di noi e dopo di noi resteranno».
Senza dismettere la voce intima e sensuale che le è propria, Valeria Parrella narra la perdita di contatto tra ciò in cui si crede e il modo in cui si agisce, fino alla consapevolezza che «le cose non si compiono all’improvviso, ma all’improvviso le vedi nel loro intero».