Giulio Einaudi editore

Pinocchio

Le avventure di un burattino doppiamente commentate e tre volte illustrate
Pinocchio
Le avventure di un burattino doppiamente commentate e tre volte illustrate
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Dopo La follia di Hölderlin, Giorgio Agamben legge il celebre romanzo di Collodi, scansando le comuni interpretazioni esoteriche a favore di un'«illuminazione profana» in cui corpo e immaginazione si compenetrano.

2021
Saggi
pp. 176
€ 20,00
ISBN 9788806249854

Il libro

«Nessun libro finisce», ha scritto di Pinocchio Giorgio Manganelli. «I libri non sono lunghi, sono larghi. La pagina non è che una porta ad altra porta, che porta ad altra. Finire un libro significa aprire l’ultima porta, affinché nessuna porta si chiuda piú». È una porta di questo genere, che comunica segretamente col suo libro precedente su Hölderlin, che Agamben apre con questo doppio commento, tre volte illustrato, del libro piú letto e tradotto di tutta la letteratura italiana. E lo fa togliendo decisamente di mezzo e, insieme, riformulando da capo le interpretazioni esoteriche delle avventure del burattino, dalla morte alla rinascita, dalla metamorfosi asinina all’inghiottimento nel ventre della balena. Collodi inventa poeticamente, non applica dottrine massoniche trasmesse da imprevedibili iniziati. È vivendo le sue avventure di burattino, la vendita dell’Abbecedario, l’ingresso nel Gran Teatro, la fuga nel Paese dei balocchi, l’incontro col Gatto e la Volpe, la trasformazione in ciuco e il viaggio nel ventre del Pesce-cane che Pinocchio, come Lucio nel romanzo di Apuleio, è iniziato, ma ciò a cui è iniziato è la sua stessa vita. E il libro che ne risulta non è una fiaba, non è un romanzo, non è ascrivibile ad alcun genere letterario, proprio come il suo protagonista, che non è né un animale né un ragazzo, non è nemmeno un «che», ma solo un «come»: è, nel senso piú stretto della parola, una via di uscita o di fuga, tanto dall’umano quanto dall’inumano – per questo non fa che correre, e quando alla fine si ferma è perduto.

«Il naso è l’espressione dell’incorreggibile, picaresca insolenza di Pinocchio, e solo secondariamente della sua altrettanto picaresca furfanteria. In questione, in quel naso che non finisce mai è, piuttosto, qualcosa come una costitutiva indefinizione della natura del burattino, che, come quella degli abitanti del Regno segreto, è “pendula” e in continua rivoluzione. La menzogna è qui per cosí dire fisiologica, legata al carattere indeterminabile, alla vaghezza di un’esistenza che per questo non può che essere indefettibilmente mancata. Il naso senza fine di Pinocchio, che non passa piú dalla porta della camera e che rischia di conficcarsi negli occhi della fata, è la sua verità, che smentisce la falsa antinomia con la quale la fata vorrebbe definirlo: le bugie che hanno le gambe corte e quelle che hanno il naso lungo. La verità non è un assioma fissato una volta per tutte: cresce e diminuisce “a occhiate” insieme alla vita, al punto di diventare sempre piú ingombrante e difficile per chi vi aderisce senza riserve – come il naso di Pinocchio, appunto».

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