-
Antropologia e religione Antropologia e religione
-
Arte e musica Arte e musica
-
Classici Classici
-
Critica letteraria e linguistica Critica letteraria e linguistica
-
Filosofia Filosofia
-
Graphic novel Graphic novel
-
Narrativa italiana Narrativa italiana
-
Narrativa straniera Narrativa straniera
-
Poesia e teatro Poesia e teatro
-
Problemi contemporanei Problemi contemporanei
-
Psicologia Psicologia
-
Scienze Scienze
-
Scienze sociali Scienze sociali
-
Storia Storia
-
Tempo libero Tempo libero
Diario ultimo
Dal marzo 2000 al gennaio 2001, ormai quasi cieca, Lalla Romano ha scritto i suoi ultimi pensieri, poesie, aforismi, alternati a minime registrazioni della vita quotidiana. Una scrittura ridotta all'osso, scarnificata: il testamento di una vita, ma anche la quintessenza della sua poetica.
Il libro
Silenzio come pienezza, non povertà.
Dal silenzio nasce sia l’attesa che l’appagamento.
Solitudine come presenza
non assenza
Cosa posso scrivere?
poesie fatte di nulla,
come me adesso
Caro, lento e potente
il respiro del mare
Non chiedo altro respiro…
non mi occorre altra musica
La condizione in cui Lalla Romano ha vissuto nei suoi anni più tardi fa pensare alla condizione stessa della scrittura. Quasi cieca, provata nel corpo e nell’anima, la scrittrice annota su grandi fogli bianchi poche parole essenziali, traccia frammenti di pensieri, fissa memorie ed emozioni. «Scrivo da cieca. Che vuol dire?» È questa la domanda che a un certo punto affiora nel testo, dopo essere rimasta a lungo sospesa fra le righe. Vien da rispondere, sulla scorta della testimonianza lucida e toccante che Lalla Romano ha voluto lasciarci, che non si può scrivere altrimenti che così. Che cosa significa infatti scrivere, se non strappare un senso possibile al nulla e al silenzio? Sia pure per rituffare nel silenzio tutte le voci del mondo, tutti i suoni e i simboli, perché come dice Lalla Romano esso «contiene tutte le musiche e le parole». Queste pagine sanno essere impietose: dicono la sofferenza e la disperazione. Ma il loro stigma più vero è la pietà: pietà per il vivente. E se non hanno la loro ragione che in se stesse, tuttavia è «per amore» che sono state scritte.
Sergio Givone