Giulio Einaudi editore

Hitopade¿a

Il saggio consiglio
Hitopade¿a
Il saggio consiglio
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Hitopadeśa è una raccolta di favole, novelle e apologhi, ed è uno dei capolavori della letteratura sanscrita. L'opera fu composta nell'India nordorientale, tra il IX e il XIV secolo. Malgrado l'origine popolare di molte favole, Hitopadeśa, come già il Pañcatantra, è un testo dotto e raffinato, destinato a un pubblico di corte. Un grande saggio accetta l'incarico offertogli da un sovrano di insegnare ai suoi tre figli - sprovveduti e indolenti e che pensano solo ai piaceri - la scienza politica e l'arte di raggiungere il successo mondano. L'insegnamento è esposto in quattro libri, ognuno introdotto da un racconto cornice. Si susseguono cosí favole, racconti e frasi tratte dal tesoro letterario ancestrale dell'India. Storie che spesso hanno come protagonisti gli animali, ma che danno risposte astute e pragmatiche a una serie di situazioni, problemi e dilemmi molto umani.

2025
Nuova Universale Einaudi
pp. LXXXII - 228
€ 25,00
ISBN 9788806257125

Il libro

«Dopo essersi molto lamentato, Hiranyaka, il re dei topi, disse a Citrānga, l’antilope, e a Laghupatanaka, il corvo: “Prima che questo cacciatore si allontani dalla foresta, sforziamoci di liberare Manthara, la tartaruga!” E costoro replicarono: “Sia deciso in fretta, ciò che deve essere fatto!” Hiranyaka affermò: “Citrānga, giunta in prossimità dell’acqua, si finga morta. Il corvo, posatosi su di lei, la colpisca un poco con il becco! Allora il cacciatore, desideroso della carne dell’antilope, dopo aver abbandonato la tartaruga, dovrà correre qui velocemente. Quindi io reciderò il laccio (che tiene avvinta) Manthara. Quando il cacciatore si sarà avvicinato, voi dovrete fuggire via!” Dopo che Citrānga e Laghupatanaka, giunti in fretta, ebbero eseguito (quanto era stato loro indicato), il cacciatore, esausto, bevve dell’acqua, si sdraiò sotto un albero e vide l’antilope che si trovava in tale condizione. Cosí, molto felice, avendo afferrato un coltello, si diresse verso di lei. Nel frattempo Hiranyaka, avvicinatosi, recise il laccio di Manthara. La tartaruga scivolò in fretta nel lago, l’antilope, vedendo il cacciatore che si avvicinava, balzò su e fuggí via. E il cacciatore, tornato indietro, mentre si dirigeva ai piedi dell’albero, non vedendo la tartaruga, cosí pensò: ‘Ciò (che è accaduto) si addice al mio agire in maniera sconsiderata, poiché Colui che, avendo abbandonato le cose certe, insegue le incerte, perde le cose certe’. Manthara e tutti gli altri liberati dalla sventura, fecero ritorno alla propria dimora e vi rimasero felicemente».

Poche sono le notizie sull’autore, denominato Narayana. È ritenuto oriundo bengalese e di religione sivaita, a causa di alcune allusioni al dio Siva, invocato nei versi introduttivi e finali dell’opera, e a cenni al culto di Gauri, sua sposa. Sternbach ha espresso il sospetto che gli autori possano, in realtà, essere piú di uno, ma egli stesso ha attribuito la paternità dell’opera a Narayana. L’autore fu, dunque, probabilmente, un poeta, o un precettore, attivo presso la corte del suo patrono, Dhavala Candra, un principe, o un viceré, oppure un autorevole satrapo di una provincia dell’India orientale, il quale commissionò la compilazione del testo. Narayana può essere considerato un erudito, un grammatico e un filosofo, stilisticamente molto abile, dotato di una perfetta padronanza degli artifici retorici, epigrammatici, lirici e satirici.
dall’introduzione di Maria Luisa Gnoato

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