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«Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno» ovvero, guardando Kafka
«Sto guardando, mentre scrivo di Kafka,
la sua fotografia a quarant'anni (la mia
età): è il 1924, con ogni probabilità l'anno
più dolce e pieno di speranza della sua
vita adulta, e l'anno della sua morte. Il viso
è affilato e scheletrico, la faccia di uno
che vive a credito: zigomi pronunciati resi
ancora più evidenti dall'assenza di basette;
orecchie con la forma e l'inclinazione
delle ali di un angelo; un'espressione
intensa e creaturale di sbigottita compostezza
- enormi paure, un enorme controllo;
unico tratto sensuale, una cuffia nera
di capelli levantini tirata sul cranio; c'è
una familiare svasatura ebraica nel ponte
del naso, un naso lungo e leggermente appesantito
in punta - il naso di metà dei ragazzi
ebrei che erano miei amici alle superiori.
Crani cesellati come questo furono
spalati a migliaia dai forni; se fosse sopravvissuto,
il suo sarebbe stato fra quelli».
Il libro
È l’estate del 1923 quando in due stanze in un sobborgo di Berlino una nuova coppia dà inizio al suo futuro comune. Lei si chiama Dora Dymant, lui Franz Kafka, e quello è l’ultimo anno della sua vita.
Prima di allora ci sono state altre due brave ragazze ebree nella vita di Kafka, Felice e Julie, poi la passionale, anticonformista Milena. Ma lui è già «sposato con l’angoscia a Praga» e un altro matrimonio non ci sta. È solo con la giovane Dora che Kafka, avvicinandosi alla fine, riesce a svincolarsi dalla città nativa e a pensarsi, seppur per poco, libero di amare.
E se fosse sopravvissuto alla tubercolosi che lo condusse a morte precoce? Se addirittura fosse scampato all’olocausto che si prese tutte le sue sorelle, rifugiandosi all’estero, magari in America, magari in un’accogliente comunità ebraica? Cosa sarebbe accaduto se il cantore di ogni forma di assoggettamento, vincolo, coercizione fosse riuscito a sfuggire? Quali inediti appagamenti il Nuovo Mondo delle mille possibilità avrebbe potuto riservargli?
Philip Roth immagina per noi lo scenario e, incrociando quell’orizzonte letterario e umano al proprio, dà vita a una piccola gemma di lucidità critica e insieme di spassoso estro narrativo.