Giulio Einaudi editore

La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene

Copertina del libro La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi
La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene
indice
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«Doveva avere un ricettario, l'Artusi, per essere in grado di preparare tanti eccellenti piatti di parole...»

Emilio Tadini

2001
I millenni
pp. XCII - 776
€ 90,00
ISBN 9788806158859
Illustrazioni di
Introduzione a cura di
Contributi di

Il libro

Nell’Ottocento l’Italia era una a livello dei francobolli e dei carabinieri. Fu allora che apparve l’Artusi. Lo spirito del tempo gli affidò un compito cui attese con umiltà e ostinata pazienza. Per oltre vent’anni raccolse le ricette di tutte le cucine italiane; mescolò assieme tutti i riti reciprocamente esotici, la polenta e la pasta con le sarde. Entrò da laico nel corpo mistico del mangiar collettivo italiano; e al posto della matriarca disegnò l’immagine della massaia casalinga e borghese, indulgente e blanda signora di mezz’età. Strappando le vivande ai loro luoghi d’origine, disponendole in bell’ordine in un’unica classificazione per generi, egli eseguí l’operazione preliminare alla nascita di una cucina nazionale; e in questo modo agiva, da inconsapevole psicologo, sulla pasta segreta dell’anima nazionale, la agglomerava in un’unica materia ricca, densa; trascriveva le tradizioni gastronomiche locali in un unico codice, un corpus, un catalogo. Questa impresa non gli sarebbe mai riuscita, se non lo avesse assistito la grazia del linguaggio; a Firenze s’era intoscanito, e aveva preso qualche vezzo locale, insistito, da immigrato; ma aveva imparato anche un certo modo di rivolgersi al lettore; infatti, non compilò ricette imperative: ma le raccontò. A questo modo si guadagnò il cuore delle massaie, cui non pareva vero di trovarsi accanto ai fornelli un gentiluomo tanto educato e benevolo. E cosí egli invase il centro donnesco, materno, dell’inconscio italiano.

Giorgio Manganelli (1970)

Le ultime righe del Dizionario dei sinonimi (1830) terminano alla voce zuppa con un explicit sorprendente: «Tutte le nazioni incivilite posseggono trattati de re culinaria. Se in Italia si dovesse scrivere un libro non barbaro intorno a questo delicato argomento, mancherebbero le parole ad esprimere con sapore italiano i segreti della grand’arte, a cui deve il mondo tante buone e cattive digestioni, vale a dire tante ore di piaceri e di noie, tanti atti d’impazienza e di durezza, tanti di generosità e di speranza. La digestione è una tra le piú importanti e meno considerate cose della umana vita; e un trattato della buona digestione sarebbe opera enciclopedica, perché tutta piena di questioni di fisica, di chimica, di meccanica, d’agricoltura, di storia, di filologia, di fisiologia, di patologia, di estetica, di morale, di economia pubblica, di religione eziandio. Considerata l’arte culinaria in questo aspetto, diventa una scienza nuova: e chi sa che il suo Vico sia vicino?»
Lontano veramente non era, anzi era già nato, da dieci anni; ma la scienza nuova de re culinaria auspicata da Tommaseo era ancora remota. Apparve soltanto nel 1891, proprio a Firenze, col titolo poco vichiano e molto positivistico di La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Il sottotitolo, Manuale pratico per le famiglie, era, però, assolutamente demitizzante e biedermeier, vittoriano (anzi umbertino) e sconsolatamente piccolo-borghese. In questo libro tuttavia «i segreti della grand’arte» ebbero il loro felice volgarizzatore e, in parte, inventore; il trattatista sistematico che trovò la maniera giusta per «esprimere con sapore italiano» e con adeguate «parole» un «argomento» tanto «delicato».

Piero Camporesi

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