Giulio Einaudi editore

Milano è una selva oscura

Milano è una selva oscura
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Il Dante ha settant'anni ed è uno specialista nell'arte della fuga. Cresciuto a pane e classici, ha anche gestito una libreria antiquaria prima di sbandare e diventare un barbone. Adesso vagabonda per la sua Milano, in esilio come il grande poeta da cui ha preso il soprannome, una sosta per un bianchino e «quatter paròll da svirgolarcisi dentro». Ché lui è uno che sa raccontare, pure se la sua memoria è un groviglio indurito.
Passin passetto, insieme a un cane randagio, attraversa gironi abitati da studenti in sciopero, lattai anarchici, operai disoccupati, pensionati obnubilati dalla «sgagnòsa». Alla fine, in un giorno cruciale del 1969, arriva proprio dove batte il cuore della città, nel punto in cui tutte le strade che ha percorso nella sua «vita camminante» s'incontrano.

2010
Supercoralli
pp. 184
€ 19,00
ISBN 9788806199951

Il libro

«Che mi domando e dico: cos’ho mai fatto nella mia vita, oltre a scappare? Il Dante sorride tra sé mentre prova a rispondere… Ché se la vita la fosse un catalogo, potrebbe scriverci: andato in guerra, dato lezioni, emigrato, sposato, diventato padre, ammalato, confinato, letto libri, scritto quatter patanflànn di poesie, viaggiato di notte su un camion per un sacco di riso e una tolla di latte condensato da portare alla Milena, urlato per i bombardamenti, gridato d’allegria nel sole di aprile, venduto libri, perduto il lavoro, finito sotto processo, ben pistaa in la pirotta, camminato… Insomma, una lista lunga, e non sempre di faccende volgari».
Ma di tutto questo nella borsa «degli Avanzi» che porta a tracolla restano solo poveri «barlafüs», destinati a finire insieme al Dante «in pasto ai vermi – ipotesi umile – o ai corvi – ipotesi romantica – o agli avvoltoi – ipotesi eroica – o ai piccioni – ipotesi terratèrra».
Il Dante si sente diverso dalle altre lingére, che per paura e vergogna non amano mostrarsi e si rintanano nei loro cantucci. A fargli mantenere la testa alta è la cultura di cui nella sua famiglia adottiva si è nutrito fin da piccolo: non ha mai chiesto l’elemosina, e non frequenta neppure il refettorio della San Vincenzo; da quelle «dame del biscottino» «non ci va non ci va non ci va», perché dovrebbe in cambio fare il segno della croce. «Mangià e bev in santa libertà, diga chi v¿ur, l’è on gust cont i barbìs», scriveva il Porta. Parole sante, secondo il Dante, ché anche il primo dei poeti milanesi «l’era della razza dei poerìtt ma gnücch».
Lui preferisce accettare quello che la gente gli offre in cambio di un calembour, di una storia ben raccontata o della recita di una poesia. E sa star bene con gli amici, con cui spartire le cicche e un po’ di grappa. Intanto rimescola tra sé e sé riflessioni sul mondo, filastrocche, citazioni, frammenti di ricordi o forse di sogni: «memorie che si somministra da solo col gusto di chi fa un solitario…»
Fino a quando il suo destino non si compie nel «punto preciso in cui poggiare l’orecchio per terra di modo da sentire battere il polso della città».

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