Giulio Einaudi editore

La Germania di Weimar

Utopia e tragedia
Copertina del libro La Germania di Weimar di Eric D. Weitz
La Germania di Weimar
Utopia e tragedia
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Un quadro completo ed esaustivo dei quattordici anni della repubblica di Weimar, con le sue molte luci e le sue altrettanto numerose zone buie.

2008
Saggi
pp. XIV - 446
€ 38,00
ISBN 9788806194215
Traduzione di

Il libro

La Repubblica di Weimar è stata a lungo dipinta solo come un momento di passaggio, una drammatica parentesi tra la Grande Guerra e il Terzo Reich. In realtà, fu molto di piú. Il sistema di democrazia parlamentare che seppe realizzare fu sorprendente: non solo perché nacque pochi mesi dopo la fine di un conflitto mondiale da cui la Germania era uscita sconfitta e gravata da quanto stabilito nel Trattato di Versailles, ma, soprattutto, per la portata delle trasformazioni politiche, sociali e del costume che la contraddistinsero. Alle riforme di welfare si accompagnò una vivacità intellettuale e una creatività che fecero in particolare di Berlino una capitale mondiale dell’arte d’avanguardia: da Essere e tempo di Martin Heidegger all’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht, da Metropolis di Fritz Lang alle realizzazioni del Bauhaus di Walter Gropius, da Erich Mendelsohn a Bruno Taut, da August Sander a Laszlo Moholy-Nagy, la letteratura, l’architettura, il cinema, la fotografia e la filosofia furono illuminati da personalità le cui opere sono divenute capisaldi della cultura occidentale del Novecento.
Con una narrazione calibrata e sempre avvincente, Weitz fa rivivere quel periodo di radicali contrapposizioni, con l’ausilio di documenti istituzionali, articoli giornalistici e testimonianze dirette corredati da immagini e fotografie. Ne emerge un quadro completo ed esaustivo dei quattordici anni della repubblica, con le sue molte luci e le sue altrettanto numerose zone buie. Alle conquiste della democrazia e al fervore culturale, infatti, fecero da contraltare la frammentazione politica, il gioco delle alleanze parlamentari, gli interessi di parte e l’incapacità di governare il cambiamento e i suoi effetti. Nelle pieghe di quella società prosperarono l’idea della purezza della razza e i germi dell’intolleranza e dell’assolutismo. Oggi, a quasi un secolo di distanza, la Germania di Weimar «deve» continuare a parlarci: ed è utile, anzi necessario, ascoltare, proprio perché, ci dice Weitz, «tutti sappiamo come andò a finire».

«La Germania di Weimar continua a parlarci. Le opere pittoriche di George Grosz e di Max Beckmann sono esposte in innumerevoli musei e gallerie, da Sidney a Los Angeles, a San Pietroburgo. L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill continua a essere rappresentata nei teatri di tutto il mondo tradotta in lingue diverse. La montagna incantata, il grande romanzo pubblicato da Thomas Mann nel 1925, se non proprio un’opera popolare, è comunque oggetto di lettura e di analisi nei licei e nelle università. Il design delle nostre cucine richiama spesso lo stile degli anni Venti e le creazioni del Bauhaus. […] E quale appassionato di cinema non ha visto Il gabinetto del dottor Caligari, Metropolis, Berlino: sinfonia di una grande città?
La Germania di Weimar continua a parlarci anche in altri modi e a porsi, assai sovente, come un segno ammonitore. Fu una società tormentata dalla crisi economica e da una conflittualità politica esasperata. L’ombra della prima guerra mondiale si proiettò sull’intera storia della repubblica. La maggior parte degli economisti e degli storici odierni ha rivisto la posizione tradizionale secondo cui il Trattato di pace di Versailles avrebbe schiacciato la Germania postbellica con un insostenibile fardello finanziario; i tedeschi dell’epoca, invece, erano assolutamente convinti di essere stati trattati in modo iniquo dai vincitori della Grande Guerra».

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